lunedì 30 aprile 2012

FRANCESCO DE GIROLAMO (A-2) - QUATTRO POESIE




Francesco De Girolamo è nato a Taranto, ma vive a Roma, dove, oltre che di poesia, si occupa di teatro, come autore e regista. Ha pubblicato le raccolte poetiche: “Piccolo libro da guanciale” (Dalia Editrice, 1990), con introduzione di Gabriella Sobrino; “La lingua degli angeli” (Edizioni del Leone, 1997); “Nel nome dell’ombra” (Ibiskos Editrice, 1998) con una nota critica di Gino Scartaghiande; “La radice e l’ala” (Edizioni del Leone, 2000) con prefazione di Elio Pecora; “Fruscio d’assenza” - Haiku della quinta stagione - (Gazebo Libri, 2009); e “Paradigma” (LietoColle, 2010) con introduzione di Giorgio Linguaglossa.
È presente nelle antologie: “Poesia dell’esilio” (Arlem Edizioni, 1998), “Poesia degli anni '90” (Scettro del Re, 2000), “Haiku negli anni” (Empiria, 2005), “Calpestare l’oblio” (Cento poeti italiani contro la minaccia incostituzionale, per la resistenza della memoria repubblicana, 2010), e "Quanti di poesia", (Edizioni L’Arca Felice, 2011).
Si sono occupate criticamente della sua opera, tra le altre, le riviste: “Poesia”, “Folium”, “Poiesis”. “LaRecherche.it” e “Atelier”. 


Di Francesco De Girolamo abbiamo già pubblicato su questo blog altri testi poetici. 








SANGUE DI PIETRA


Tu hai perduto l’ombra della luna
che ti seguiva prodiga e discreta
nell’impeto dei passi controvento
cui ti spingeva il tuo sangue di pietra.

Tu hai perduto il tuo anello tra i rami
del dirupo che porta su alla cima
e le tue ali d’aquila ferita
non hanno dato volo ai tuoi richiami.

Tu sei la pelle lieve tra le spine,
ma di quarzo hai lo smalto e le unghie armate
d’aspro coraggio nato tra i sospiri
d’attese vinte in grida disperate.




AI FUOCHI AZZURRI


Sotto il trepido sole degli addii
lo sguardo era il germoglio di una spina,
era una macchia d’ombra porporina
che il vento vorticava in dondolii.

Un che di noi, perduto nella luce,
rimpiangeva il languore della luna
che indora all’alba i fiumi della brace
non spenta dei bivacchi di fortuna.

Erano troppo presto divampati
i fuochi azzurri dell’appartenenza,
confusi nell’azzurrità più intensa
d’altri cieli remoti, non svelati.




METAMORFOSI


Non è molto quel ramo dietro i vetri
per sapere che fuori impera il niente;
ma è tutto ciò che scorgi e che non vedi
che lo trasforma in una gemma ardente.

Che lo trasforma in una calda rosa
che accende il limitare dello sguardo
della sua sete indomita e operosa;
e ritrasfonde in musica il tuo pianto.


(da “La radice e l’ala” - Edizioni del Leone, 2000)




PARADIGMA


Ho tra le mani il segno che Ti chiesi
quando avevo perduto sguardo e voce:
un raggio e un’ombra tesi su una croce,
e le mani ed i piedi ancora illesi.

Tu hai abitato invano il mio silenzio
quando non eri più nella mia casa:
non era più la mia, per quanto invasa
d’ogni traccia di Te che avesse senso.

E Tu non eri che follia lucente
che suggeriva all’anima accecata
di attraversare quella morte data
per dono, nell’alba imminente.

Non eri più la via, per quanto certa
fosse la strada che mi conduceva
dove la luce, corpo si faceva,
su per l’ascesa faticosa ed erta.

Tu, Desiderio dei presentimenti,
apparso e poi svanito chissà come;
Tu, Negazione dei miei pentimenti
e Pentimento d’ogni negazione.

Non ho che Te per riafferrare il tutto
nella Tua concrezione d’apparenza,
in volti e luci che nella Tua essenza
hanno sgorgato il sangue senza lutto.

E lacerato il velo del Tuo gioco:
ciò che sembrava gelo ed era fuoco:
ciò che sembrava il nulla ed era il cielo:
ciò che sembrava il cielo ed era il frutto
dell’albero del tempo chiuso in poco
più di una stanza, in cui tre cuori soli
vinsero la partita, il giro e il gioco.


(da "Paradigma" - LietoColle, 2010)




Link per chi fosse interessato all’ultima raccolta poetica edita, “Paradigma”: 









giovedì 26 aprile 2012

JEAN-CHARLES VEGLIANTE - (SOLO) NOVE POESIE DAL LIBRO: "NEL LUTTO DELLA LUCE"




Bibliothèque d’études italiennes et roumaines - Centre Bièvre, 25 Novembre 2009. 
Da sinistra: Jean-Charles Vegliante, Chantal Saragoni, Abdelwahab Meddeb. 


Plus rien, tu comprends, plus rien ne semble 
te concerner; alors tu n'es plus
au monde, le seul, qui continue
sans toi, sans savoir si tu nous manques. 

Niente, lo vedi, niente sembra
più riguardarti; così tu
non sei più al mondo, il solo, che va avanti
senza di te, ignorando se ci manchi. 

Italianista famoso, attivo da anni sia come docente universitario che come saggista, critico militante e traduttore (è di prossima uscita, fra l'altro, l'ultimo volume della sua mirabile versione metrica della Commedia dantesca), Jean-Charles Vegliante è anche uno dei protagonisti della nuova poesia francese. (...) Una personalità espressiva al tempo stesso limpida e complessa dentro la quale coesistono, arricchendosi a vicenda, l'originale continuatore della tradizione post-surrealista francese e l'appassionato frequentatore della grande poesia italiana da Dante sino a Montale, a Sereni, a Fortini. Un poeta, insomma, esemplarmente europeo, il cui dettato al tempo stesso alto e colloquiale capace di fondere in sé con rigorosa naturalezza istanze realistiche e istanze metafisiche, è reso nella nostra lingua con congeniale complicità da un poeta-traduttore come Giovanni Raboni. 

Nato a Roma, Jean-Charles Vegliante vive a Parigi dove insegna alla Sorbonne Nouvelle. Poeta e traduttore, si è occupato dei testi francesi di Ungaretti e di teoria della traduzione (D'écrire la traduction, 1996). Ha pubblicato di recente Rien Commun (Berlin 2000) e Voci (bilingue, Forlì 2002); ha tradotto la Commedia di Dante, di cui sono già uscite due cantiche e la terza è imminente per i tipi della Imprimerie Nationale. 

AVVERTENZA: 
Quanto sopra riportato in verde scuro è tratto dalla prima e dalla quarta di copertina del libro
Jean-Charles Vegliante, NEL LUTTO DELLA LUCE, traduzione di Giovanni Raboni, Einaudi, Torino, 2004
Del libro citato fanno parte tutti i testi poetici presenti in questo post.








Quelle impatience aussi le matin
quelle petite fièvre
et petite et fière affûtée juste
sous les côtes, fléchette
qui me distrait de ce qui n'arrive
plus ici où tu dors
indifférente et m'aide à refaire
à l'envers le chemin
d'hier (de demain): je commençais
donc par un rythme clair
il me semble, avant le premier thé
et le tabac qu'il faut
pour assurer le prochain désastre 
quand se fêle l'essor. 
Ainsi la page ouvre un nouveau jour.





E, il mattino, che impazienza
che piccola febbre 
piccola e fiera e affilata 
proprio sotto le costole, freccetta 
che mi distrae da quanto non succede 
più qui dove tu dormi 
indifferente e mi aiuta a rifare 
a ritroso il cammino 
di ieri (di domani): cominciavo 
con un ritmo chiaro, mi sembra, 
in attesa del primo tè 
e del tabacco di cui c'è bisogno 
per garantire il prossimo disastro 
quando il volo s'incrina. 
Così apre la pagina un nuovo giorno.




I seguenti quattro testi originali in italiano, i cui titoli abbiamo asteriscati
nonché il successivo testo (lieu de retournement), in originale francese con traduzione in italiano, fanno parte della sezione: Insenatura.




Il sogno bambino* 


Dormi angelo, torna 
all'aurea parola del tuo aldilà. 
Ali di caligine spariscono. 
Un soprassalto di stoviglie 
franate ancora scuote le stanze. 
Non è nulla, ma per te? 
Forse è qui non veduta quella di fuori, 
la femminea forma del vento, 
vaia sibilante 
che tu sai... 
La incontrai, tanto tempo fa – 
«c'est le vent c'est le vent, le céleste élément» 
– pare ieri: ho avuto anch'io 
in qualche dove 
il mio primo minuto di vita. 
Garriva il nastro dorato, 
la striscia nell'erba, 
la ruina. 


(1982)  






Optimo* 


Domani chissà che solitari 
ebeti passaggi dovremo abitare 
convinti da muti tristi amici se 
hanno forza ancora, e che altro 
insieme senza scampo, senza sguardo. 
Ride la piazza chiara ove oscilla 
il cerchio d'ombra d'un gioco infantile. 
Come fugge per noi verso l'ostro! 
Oh come uccide e dispera en plein jour 






Verso S. Martino* 


Autunno noioso si protrae 
nei lunghi pomeriggi di quasi amore 
nei pleniluni candidi 
assiderati già, indifesi... 

Come fai a scrivere così 
a un bambino assente che non conosci, 
senza sapere il fuoco 
chiaroscuro, la scoperta immagine 
elementare che ci condanna 
là nel più fuggente dei suoi sguardi? Eppure 
l'intreccio dei tuoi segni 
arriva fin qui, scalfisce questi mesi. 


(fine ottobre 1985)  





Roma '87* 


Città sierra convulsa 
cada vez que je 
te quiers me fait mal 
sotto cangianti veli 
di stormi ce désir 
che non hai – fa male un poco 
assai inseguire negli occhi 
di giovani ormai brutti 
tutti uguali ormai 
c'est incroyable 
il guizzo furbo di voglia 
vile oscena di avere 
e sul frenetico asfalto fumiga 
la stessa fiammella di nafta 
d'una volta, ricordi – 
e ricordo che ti volevo 
baciare sugli occhi 
(voglio di te solo la sirena 
ma come fare) dài 
non mi guardare più 
mai, pensa alla speranza 
buttata fra i saldi 
i prezzi stracciati 
le voglie sciocche 
dei piccoli... 
città città, un doman tuttavia... 
ma sì





(lieu de retournement) 


Pour parler encore lorsqu'on ne peut plus dire, 
il invoque la force de céder, de se laisser 
balayer à l'intérieur, soumis au souffle brusque 
que tout le traverse, comme arraché au fourreau 
de ses membres, dégainée pulpe sanglante, graine 
qui vibre et souffle et furieusement dévale 
jusqu'à la fin qui est derrière lui, son amont. 





(punto di ritorno) 


Per parlare ancora quando dire è impossibile 
lui invoca la forza di cedere, di lasciarsi 
devastare dentro, arreso al soffio brusco 
che lo attraversa tutto come se 
l'estirpasse dalle sue membra, lo sguainasse, polpa 
sanguinante, seme che vibra e soffre e precipita 
fino alla fine che lo sovrasta, alla cima di sé.




Il testo seguente fa parte della sezione: daRares éclairs sur le versant d'en face... 
(1985-1988)




Can vei la lauzeta mover... 
                                                                                   (B. de Ventadour)


Dans la maison du père, en visite, 
j'ai rêvé que javais les genoux brisés 
pendant que ma tête enflait, remplie 
d'un souffle morne venu des hypogées 
du froid, sombre réserve de songes, 
levain qui touche à l'interdit de la mort.
Quand nous a-t-il blessés de mystère? 
Nous ne voulions que la clarté où se plonge 
entier l'oiseau, sans plus de mémoire 
en sa chute. Au lieu de quelque non prédit 
effroi, l'interminable menace: 
l'abattement, la paralysie 
où nous n'en pouvons plus de devoir attendre 
l'évidence atroce de nos sorts.





Can vei la lauzeta mover... 
                                                                                   (B. de Ventadour)


Nella casa paterna, in visita. 
Ho sognato che avevo le ginocchia rotte 
e che la testa si gonfiava, piena 
d'un soffio tetro venuto su dagli ipogei 
del freddo, cupa riserva di sogni, 
lievito che sfiora l'interdetto della morte. 
Quand'è che ci ha feriti di mistero? 
Noi non volevamo che la chiarezza 
dove l'uccello si immerge intero, senza serbare 
memoria nella caduta. Al posto di non predetti 
terrori, la minaccia interminabile: 
l'abbattimento, la paralisi dove 
eravamo stremati d'aspettare 
l'atroce evidenza delle nostre sorti.




Il testo seguente fa parte della sezione: Sonnets du petit pays entraîné vers le nord.




D'autre part 



Vers le nord c'est ce soir le poème 
qui se laisse entraîner ou même désire 
pleuvoir suivi d'un convoi dolent 
où renaît la pitié, s'oublie la prouesse 
et plus au fond, plus au fond après 
des années ricanantes, perdues, se brise 
en lisant un morceau de ton cœur! 
Vers le nord, c'est trébucher à chaque pas 
dans le rêche lacis de syllabes 
qui disperse les rangs des lecteurs 
pressés, toujours, d'en finir avec les ombres. 
Avec les larmes, c'en est fini, 
sauf par la source étale des  nombres 
qui berce en toi l'absente, l'inconsolable. 






D'altra parte 


Verso nord stasera è la poesia 
che si fa trascinare o forse agogna 
a piovere, seguita da un corteo 
dolente dove pietà rinasce e prodezza s'oblia 
e più in fondo, più in fondo oltre il sogghigno 
degli anni perduti si spezza 
leggendo un brano del tuo cuore! 
Verso nord s'incespica ad ogni passo 
nel ruvido intrico di sillabe 
che disperde le file dei lettori 
ansiosi, sempre, di finirla con le ombre. 
Con le lacrime è già finita, non fosse 
per la sorgente in stanca dei numeri 
che culla in te lei assente, inconsolabile.




Il testo seguente fa parte della sezione: Altre poesie.




Et pourquoi mon amour serait-il un monstre, 
à faire admirer sous le couvert des mots 
qui disent toujours nous ne laisserons pas 
mouriri ce que tu as aimé une fois? 
Mon amour chacun l'a connu, l'a perdu 
dans la misère ordinaire de nos jours, 
la houle longue où tous résistent, puis lâchent, 
la molle saison d'ombres noyées. Il passe 
tout près, parfois tout autre, et meurtri profond 
comme le vôtre, parlant pour tout le monde.





E perché il mio amore dovrebbe essere un mostro 
da far ammirare a forza di parole 
che dicono e ridicono non lasceremo morire 
ciò che un tempo hai amato? 
Il mio amore chiunque l'ha conosciuto, l'ha perduto 
nella normale miseria dei nostri giorni, 
onda lunga dove tutti resistono e poi cedono, 
molle stagione d'ombre annegate. Il mio amore passa 
molto vicino, molto diverso a volte, ferito nel profondo 
come il vostro, e parla per ciascuno. 









venerdì 20 aprile 2012

METH SAMBIASE - DUE FRAMMENTI E UN INEDITO A DECLINARE "METH"





Meth Sambiase (Meth non è il suo nome di battesimo ma quello scelto). Studi artistici (Michele Sovente come docente di Letteratura Contemporanea) e la passione della scrittura. Negli anni la mappatura delle tessere dello scrivere passa dalla redazione di radio locali fino ai settimanali femminili nazionali, con una vecchia tessera di giornalista pubblicista nel cassetto. Ha vinto nel 2011 il “Woman in Art”, sezione poesia, presidente della giuria Milo De Angelis. A marzo 2012 sarà pronto il libro con la raccolta vincitrice, e la prefazione della giuria del WIA. Libri di poesie pubblicati: Tempo inaspettato e Una Clessidra di grazia, edizioni Rupe Mutevole. Una clessidra di grazia ha ottenuto il terzo posto del premio “Leandro Polverini” del 2011. A dicembre 2011, la plaquette Leporis (in)canti matrigni, edizioni Limina Mentis. È stata segnalata nel 2011 al XIII Premio “San Vitale” di Bologna e al II Premio “Franco Fortini”. Varie partecipazioni in antologie, l’ultima è “Fragmenta”, della casa editrice Smasher, per il progetto di Ulteriora Mirari. Tra le ultime partecipazioni, “Le strade della Poesia III edizione” (Guardia Lombardi) e “Poesia a strappo” (Crema). Cura la pagina poetica ElegiaStella sul sito RainStars.net. Tra le cose del passato, presenze in alcune antologie. In forma stampata, quelle di Poesiaèrivoluzione, Aletti Editrice, Edizioni Rei e Samperi editore, quelle nel web, l’antologia erotica di Vir-Us. Il suo blog di poesie e pensieri vaghi è su Io bloggo e WordPress.

Meth Sambiase è rintracciabile online su 

http://methsambiase.wordpress.com/ e http://methsambiase.iobloggo.com/ (quest'ultimo blog raccoglie quel che restava dei post di Meth su Splinder)





ME


Ho crepe e fessure,
le sto cercando: ne devo esser piena.
comincerò a contarne i buchi,
e le smorfie, le rughe come macerie
trucchi sporchi di mascara e lacrime disperse.

Calcinacci non se ne vedono
Ma il gelo s’infila al contrario,
scava solchi e feritoie e umori maligni.
Attacca le ossa
e troppa congiunzione mi consuma.



T (e)


Tu eri la nave negriera
le catene d'assenza
che m'impiccavano al tuo albero maestro
grosso, grande spuma  nella bocca
il silenzio imposto con la frusta,
sette donne prima del mio turno,
un proiettile ricoperto dal mio odore.



H


Non è l'acca la muta
né l'aspirata la lettera che crolla nel nome
si spezza è un cerchio
di altare gotico imperfetto
che rinnega la fonte
e l'Eden (ri)diventa muraglia
una spalla, un arco, una traccia
s'incompleta
come il riparo della pars fortunae
si proietta
e ne viene capovolta
ma non ne scappa
è impigliata
in una piantagione di alta vita

s'accartoccia e si spiana fino ad essere catena
e le due parti di ogni te\me
s'incenerano
inflagrandosi nel per sempre Altro. 




AVVERTENZA:
Le prime due poesie, M (e) e T, sono strofe tratte da Coniugazione Singolare, l'ultima, H, è invece inedita.






giovedì 19 aprile 2012

MICHELA ZANARELLA - SEI POESIE TRATTE DAL LIBRO: "MEDITAZIONI AL FEMMINILE"





Michela Zanarella, Meditazioni al femminile, SANGEL Edizioni  
ISBN 9788897040750 
€ 10,00
http://eshop.sangeledizioni.com  e  info@sangeledizioni.com
Foto di copertina: "Volteggia nel cosmo" di Dino Pedriali




Michela Zanarella nasce a Cittadella (Padova) il primo giorno di luglio del 1980. Inizia a scrivere poesie nel 2004. Personalità di Cultura e Poeti locali si accorgono del suo talento naturale che pone nell’esprimere la vita in versi. Ottiene già da subito buoni risultati nel campo della poesia convalidati da premi nazionali ed internazionali. Ottiene pubblicazioni in antologie di poesia a tiratura nazionale. La sua poesia è tradotta in inglese, francese, spagnolo, arabo. Pubblica una sua prima raccolta di Poesie dal titolo “Credo” con l'associazione culturale MeEdusa ed ottiene subito successo di critica e di lettori che le fanno raggiungere una tiratura nazionale di oltre mille copie. Partecipa attivamente alla diffusione della poesia intesa sia come mezzo di comunicazione sia come elemento di alta cultura nel dibattito tra i giovani. È stata ospite della trasmissione radiofonica condotta da Rosanna Perozzo su Radio Cooperativa di Padova. Alcuni articoli specifici sulla sua vocazione poetica sono presenti in quotidiani quali il Mattino di Padova, il Gazzettino di Padova, il Padova, la voce dei Berici; in settimanali come Periodico Italiano; in trimestrali come Orizzonti distribuito dalla Feltrinelli, e sull’on-web.E' socia onoraria dell’associazione u.i.s.p. “Infiniti Sogni”. Ha partecipato alla trasmissione televisiva "Poeti e Poesia" di Elio Pecora su Televita, a Roma. “Risvegli”, ed. Nuovi Poeti, è la sua seconda raccolta poetica. Ha pubblicato il terzo libro "vita, infinito, paradisi" ed. Stravagario nel giugno 2009. A dicembre del 2009 le Edizioni GDS pubblicano la sua prima raccolta di racconti dal titolo “Convivendo con le nuvole” che ottiene un’ampia diffusione sul web. Ha partecipato come membro di giuria al premio "Ebbri di poesia 2009" organizzato da Irene Sparagna. Ha ottenuto il terzo posto nella categoria “poesia edita” al premio "Memorial Gennaro Sparagna 2009". È stata nella Commissione di Giuria del Premio Internazionale “Città di Torvaianica” 2010. È prima classificata al Premio “pubblica con noi 2011” della Fara Edizioni.
Michela Zanarella ha curato le prefazioni:
- della raccolta di fiabe “Le sette favole per imparare a sorridere” di Tiziana Mignosa, ediz. Miele;
- della silloge poetica “Il volo del gabbiano” di Franco Pucci, ediz. Narrativa & Poesia.
A gennaio 2011 viene pubblicato dalla Sangel Edizioni la silloge “SENSUALITÀ, poesie d’amore d’amare”. Il Teatro Argot Studio, a Roma, organizza Risveglio di primavera in poesia, “Michela Zanarella in recital” con la sponsorizzazione della Provincia di Roma. Numerose emittenti Radio nazionali e della Comunità Europea la intervistano in diretta. Articoli, recensioni, interviste vengono dedicate a lei. Alcune interviste sono rintracciabili su Google, parlano della sua vocazione di Poeta. Quattro sue poesie sono pubblicate nel sito ufficiale di Pier Paolo Pasolini ed altrettante all'interno del sito ufficiale di Alda Merini. Ha ottenuto recentemente il secondo posto al premio "Donne...sulle tracce di Eva”, è finalista al You Artist Festival 2011 di Roma. Premio Letterario "Giovanna Dalla Torre" nella Sala del Carroccio in Campidoglio. Sta scrivendo il suo primo romanzo. 

« ... Cita ancora l’amata Merini, Michela, quando parla del poeta come "giocatore", fuorilegge della realtà e ispirandosi a lei dice “Spero di essere un discreto giocatore”. Io credo che lo sia e che possa sempre più affinare e polire i suoi versi, assumendo su di sé il peso, ma anche la gioia del suo destino poetico. Di gioia – altra cosa essenziale – la sua poesia parla molto, ed è chiaro che lo fa non gratuitamente, ma attraverso il dolore. Perché la sua poesia è altrettanto percorsa da lacrime che da risa, si nutre di singhiozzi come di baci. Le sillabe dei suo versi sono labbra - pollini e resine cantano la vita, la metamorfosi si compie nelle foglie arrossate della quercia. ... ». Donatella Bisutti, dall'Introduzione al libro Meditazioni al femminile.









MONGOLFIERE




Una lacrima cresce tra le mani,
diventa fiume in corsa nelle vene
appena ti allontani.
Non vivo senza il chiaro dei tuoi risvegli,
quando mi baci prima di partire
e stringi il cuscino per annusare l’odore
che ci ha unito nell’infinito.
Ho ascoltato il canto delle serrature
fingendo che fosse solo musica,
ho visto il tuo sorriso svanire
dietro gli angoli d’uno sbadiglio.
Dormo ancora.
Appari dentro i colori d’un arcobaleno
voli nelle mongolfiere dell’anima,
spargi coriandoli di vita dalle sponde del cielo,
accompagni un bimbo al parco della giovinezza,
un uomo abbracciato alla propria immagine
che gioca con palloni di luce
nelle strade bianche della libertà.
Il sogno respira la mia mente.
Trovo una pagina di terra da riempire,
scrivo col fiato qualche domanda,
chiudo gli occhi
e parlo di te alla solitudine.







FANGO E RADICI



Affoghiamo le nostre miserie
con le lacrime.
Siamo spiriti di un secolo
che divora le memorie.
Giochiamo con il destino
come fosse una palla
da infilare nella rete.
Cerchiamo il giudizio
di Dio,
la Sua voce affascinante
per una rivelazione
di vita eterna.
L'amore è la pioggia
che non aspettiamo.
Accettiamo il dolore
e ci completiamo 
col sollievo di altri.
Ci vediamo acque 
di mari diversi,
figli di burrasca.
Ci incontriamo
nel petto della stessa terra,
fango e radici
per un nuovo germoglio.







DEI TUOI NAVIGLI 
(ad Alda Merini)



Era bacio maledetto
quell'arteria di luce 
chiusa nelle ultime saggezze
di novembre.
Quello sguardo ingordo di poesia
svaniva dietro impulsi astratti
d'autunno.
La morte molestò il suono
dei tuoi Navigli,
sconvolse il verde dei tuoi respiri.
Alda, io in te cerco radice ai miei silenzi,
sogno riparo ad un equivoco di solitudini.
Intorno a una grandezza di ciglia
e orizzonti,
i miei umili spiragli d'istinto scapigliato
come intoccabili destini
alla tua memoria concedo.








INGUINI DI MEMORIA



Inguini di memoria 
adagio sul grembo
di una terra d’ambra,
dove è nata la mia prima fame
di confine.
In un tremore di resina
stringo la certezza
di una zolla assente,
catturo la vendemmia fredda
di asfalti silenziosi.
Come un’offerta di luce
la mia vita
si misura nel vuoto dell’erba,
tra parentesi di linfa bambina.
Ho gustato l’origine
in tendini di foglia,
dentro il volto
di un sentiero che è paese
e carne devota
a forze di cielo.
Della pianura
la mia sorte
protegge gli embrioni
di un umido orizzonte
che chiama.
E mi fa ritornare.







MONTEVERDE E LE MIE GUANCE



Puntuali gli olmi
di via Ozanam
spalancano ruggine verde
addosso ad altezze di palazzi
e cellule di passanti.
Paziente il mio fiato
s'infila tra gerarchie antiche
di marciapiedi, 
nel raffinato vapore
d'un orgoglio selvaggio
che fu vertice di poesia
e vita 
in sangue a Pasolini.
Ad un bivio, 
Monteverde e le mie guance
ereditano silenzi
dalle confessioni randagie 
di un pino.
Soffi di preghiera, 
frammenti di santità
educano scalini
e nocche di terrazze
al pesante calore di storia.
L' essere nei miei occhi
a riprodurre rossori di glicine
e criniere di pietra
maschera lucidità d'origini
lontane.







SENZA PATRIA APPARENTE


Il mare silenziosamente vede
il passo senza patria apparente
di pelli scure,
frotte di straniere ossa
che attraversano il seme dell'estate
in un tardo settembre.
Si sente un fiato all'affanno,
un rimprovero che avanza,
un'eredità di stoffe e collane
che non ha meta.
















FRANCESCO PALMIERI (A-3) - SETTE POESIE









Francesco Palmieri (Altamura [Bari], 1953). Docente di Materie Letterarie. Vive nell’hinterland milanese. Nessuna opera finora edita, se si escludono alcuni interventi in un’antologia (LietoColle) e in una rivista letteraria (Historica). Palmieri è presente su facebook e in alcuni siti di poesia. 

« Non posso negare il carattere filosofico del mio ‘fare poesia’ e nemmeno l’esercizio di un’amplificazione del senso letterale (o tautologico) del linguaggio, il che significa essenzialmente aver cercato di riprodurre l’eco emozionale che caratterizza alcune cognizioni strutturali dell’essere e dell’esserci. Il tempo non è un’unità di misura, soltanto. La Storia non è divenire, soltanto. E l’umano non è testa-tronco-braccia-gambe, soltanto. Ed è in quel valore aggiunto, in quella violazione della tautologia che si annida il luogo-non luogo emozionale da cui il fare poesia attinge. In fondo la poesia è una didascalia interiore, a margine della ragione e della coscienza, non per niente spesso si evoca la musicalità (del verso), e altrettanto spesso le si affida l’arduo compito di dare forma e voce a quei tratti imponderabili del sentire che, senza la poesia, rimarrebbero l’indicibile, l’inaccessibile, l’ombra scura del discorso esplicito. Insomma… ci si prova a non far estinguere lo sconcerto dell’anima, ci si prova ad affermare e riaffermare che forse il mondo non è solo ciò che accade ma anche ciò che, pur accadendo, non si vede... ». 
Francesco Palmieri






AVVERTENZA: 

A Francesco Palmeri il nostro blog ha già dedicato due post. Si veda:
FRANCESCO PALMIERI - TRE POESIE 
AGGIORNAMENTO BIO-BIBLIOGRAFICO DEL 26 MARZO 2014: 

Nell’autunno del 2012, per i tipi de La Vita Felice,  il nostro Autore pubblica la raccolta poetica dal titolo “STUDI LIRICI (Solo parole d’amore)” [ la cui scheda descrittiva – che di seguito riportiamo – è visibile sul sito della casa editrice all’indirizzo: http://www.lavitafelice.it/scheda-libro/francesco-palmieri/studi-lirici-9788877994608-35202.html ]. 

 Non è facile parlare d’amore. E soprattutto è difficilissimo scrivere poesie d’amore. Non è facile dopo Prévert, Neruda, Salinas, Hikmet ed altri ancora. 
Ma l’amore non appartiene all’esclusivo sentire – per quanto raffinato – dei grandi poeti, l’amore non è circoscrivibile all’interno del linguaggio di poesie che pur hanno saputo toccare i vertici del sublime o la dimensione abissale e seduttiva della tragedia erotica; l’amore è un sentimento originario, primario, archetipico, che attraversa tutta la Storia umana, tanto è radicato a fondo in ogni uomo e donna; ed è per questa ontologia dell’amore che se ne è scritto, se ne scrive e, presumibilmente, se ne scriverà.
Gli «Studi lirici» si inseriscono idealmente in questa immaginaria filogenesi, forse con l’intento di testimoniare al presente, nell’ora e qui, come ancora oggi agisca, incida e funzioni la fisica e la metafisica dell’amore, quell’Eros così universalmente provato, vissuto e patito, seppure attraverso il filtro – e non potrebbe essere altrimenti – di un Io che vi si pone di fronte, armato unicamente di ascolto di sé e di parola. Non a caso il sottotitolo della silloge è «solo parole d’amore». 
[...] sono un percorso intimo-erotico che non solo pare indicizzare il divenire dilemmatico dell’amore, il suo doppio volto sublime/terrorizzante, ma hanno contestualmente una implicita funzione di catarsi, di necessario abbandono e poi liberazione nella e dalla conflittualità eros/pathos, una sorta di tentativo estremo di dire, raccontare l’esaltazione e la caduta quando Amore diventa il linguaggio fra un Io e un Tu. 












IL GIOCO DELLA VERITÀ 



Bruciare fino all’ultima scintilla,
questo tocca,
strappare con i denti dalla pelle
la residua piuma che ti resta. 

Recidere lo spago ai palloni nella testa,
pungere le bolle per lo scoppio
e sia l’aria e il nulla
l’inconsistente che li tiene. 

Gli occhi affilo adesso
come pugnali aguzzi
ed è censura dura
il fermo nell’orecchio, 

infilzerò a mezz’aria ogni miraggio
e sarò sordo al flauto dell’incantatore,
i cigni lascerò affogare nello stagno
e sarà bianco sopra all’acqua
(di ali mai partite). 

Domani,
al cenno lieve della luce,
riporrò i vestiti sulla porta
e uscirò nudo
al ghiaccio che c’è fuori. 

In cielo. In terra.
E dappertutto. 






COSA RESTA DI UNO SPOGLIATO CIELO (la poesia...) 



Ed ora siamo al dunque. 

Si è incassato il colpo
di non essere prodigio
(infelici troppo
per stare nel mantello
di deità materne,
dentro la premura
di un genitore immenso). 

Siamo carne in movimento,
braccati dalla fame
e un giorno preso a caso
ci ferma il calendario. 

Rimane in mezzo al petto
una conchiglia cava,
la zucca senza polpa
mangiata dalle mosche: 

puoi soffiarci dentro
perché sia poche note
l’aria che ci resta. 

Il segno d’elezione.
La guardia all’estinzione. 






UOMINI ED ALI 



Forse non ti è chiaro
quello che mi tocca, 

spazzare il pavimento dagli avanzi,
dai nastrini e le coccarde,
i fili rotti delle stelle
(che chi poteva immaginare
fossero ritagli d’alluminio). 

Non l’ ho chiesto io
(a chi? alle muse? a chi?)
di mettermi di stanza sul confine
dove barbari in assedio
è già da tempo
che tentano sortite.
Per questo il mio racconto
è solo guerra,
il dirti chi è caduto
e chi ancora vive,
sopravvissuto. 

Anch’io avrei voluto
un viaggio d’aeroplano,
la perpetua sospensione
della velina in aria,
la spinta nel burrone
e poi le braccia
già addestrate al volo,
come l’aquila, il falco, 

un angelo mai visto. 






INUTILE SCONGIURO 



Ogni giorno spargo il sale
sulla mia porta,
ma entrano gli spettri,
ugualmente. 

Ripongo nell’armadio l’abito buono
e dico all’anima che preme:
rimani nel rifugio,
qui piovono le bombe (ancora?).
Al tuo passo, a te,
ancora questo non è mondo. 

È stato tutto un sogno, dico,
la storia di una sera
ad aspettare il sonno
perché già allora 

(ma io non lo sapevo) 

l’abisso sotto al letto
mi teneva sveglio. 






NON VOGLIO ANDARE 



È lasciarti ancora nuda dentro al letto
ed io insaziato a fare le valige,
questo avvelena i giorni a rimanere. 

(Lune piene i balzi eretti dei tuoi seni,
carne che io ho morso
la polpa a fianchi e spalle,
poi le labbra, il ventre, il collo delicato.
E ancora le tue gambe
strette in giro alle mie gambe
e il tulipano acceso
ed io lo stelo nell’euforia di crepa). 

È il cesto di frutta al centro della stanza,
uva, datteri, ciliegie, il rosso del melone,
un ramo di limoni, nespole e lamponi,
ed io a fare le valige
perché dovrò partire,
andarmene per sempre. 

È il quadro alla parete che ripete il mare,
l’azzurro di un’estate che mai potrà finire,
la barca, un pescatore, vele lontane e voli,
conchiglie sulla riva. 

E poi dalla finestra gli alberi,
colori nei giardini, i fiori, l’erba,
il grido di un bambino, i baci innamorati
sopra alle panchine
ed io a fare le valigie,
a prepararmi all’attimo d’eclissi. 

E non sarà la luce
a farsi ombra. 






AMORE IN NATURA MORTA 



Ti lascio, amore mio,
come un frutto il ramo
alla fine di stagione,
come un’onda l’oceano
nel tuffo sulla spiaggia,
come lo stormo i nidi
quando il tuono chiama
il tempo di migrare. 

Ti lascio, amore mio 
come la luce
nell’ora della sera,
come l’ultima parola
in fondo a un libro,
come chi prende il treno
per un altro viaggio. 

Ti lascio, amore mio,
e non vorrei, 

potessi, 
sarei argine ancora
al fiume e alla piena,
sarei fossato e muraglia
all’assalto di ere,
ai giorni feroci
che non mancano mai 

(ma nello specchio mi accerto
di chi sono,
non più chi ero,
e manca il coraggio
alla sfida degli occhi,
alla luce spietata
sui solchi e le pieghe). 

Svanirò come fumo
e tu non vedrai,
svanirò come soffio
pur regalandoti rose. 

Ti lascio, amore mio,
non io che sono.
Ti lascia chi fui. 






FILOSOFIA MINIMA 



Cosa c’è da capire
in una giornata
che inizia e poi finisce
e in mezzo
un respiro, vita d’occhi,
orecchie, pelle, lingua,
un profumo di colonia. 

Dove andiamo:
ma al morire
ad uno ad uno
come pesci, come uccelli,
frutti di una stagione sola
(la primavera breve
e troppo novembre troppo dicembre). 

Chi siamo:
a volte fiori
a volte ruspe,
carogne sotto il barocco
di un discorso,
sempre carne a consumarsi
tra un orgasmo
e uno spavento,
un decollo d’astronave
e poi il suolo ed il fracasso. 

Da dove veniamo:
dal ventre di una madre
dove un sacco nelle viscere
era l’infinito intero
e sonno quieto il buio… 

Poi l’eterno
si spezzò alla luce.
Con un grido. Un pianto.
Il primo.
Ed è tutto quello che sappiamo.
Per davvero.















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