mercoledì 4 aprile 2012

FRANCESCO TONTOLI - QUATTRO POESIE






Francesco Tontoli dice di sé:

Sono nato a Maddaloni in provincia di Caserta nel Febbraio del 1956, e lì ho vissuto per 19 anni. Poi mi sono iscritto alla Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Pisa, scegliendo di andare a vivere in quella città. Ho sostenuto parecchi esami, ma non sono riuscito a laurearmi, anche cambiando Facoltà, e scegliendo Filosofia. Ho avuto la fortuna di conoscere, e di frequentarne le lezioni sostenendo l’esame di Storia della Filosofia Antica, un grande Maestro come Giorgio Colli, poco prima della sua morte. Erano anni duri e difficili. C’era il terrorismo e la vitale protesta giovanile si andava esaurendo in un bagno di sangue. Io ho messo su famiglia. Ho sposato la donna che amo, ho avuto da lei due figli ormai grandi, e ho trovato un lavoro. Sono tuttora un Educatore nei Convitti Nazionali, e nelle Istituzioni Educative in genere, e mi occupo oltre che di Poesia, anche di Musica. Sono un jazzista e compositore, e opero nell’ambiente musicale pisano da molti anni. Considero fondamentale per la mia visione della Musica (e della vita) la conoscenza, l’amicizia, e la lezione di Donald Rafael Garrett, grande jazzista di Chicago che ha operato per qualche anno a Pisa tra la fine degli anni 70, e l’inizio degli ’80. Suono la chitarra. Riguardo alla Poesia ho ricevuto la folgorante iniziazione durante i primi anni del Liceo dal mio professore di Filosofia, il poeta e prete Giuseppe Centore, e dal mio grande amico e Maestro, Josè Antonio Càceres Pena, poeta e pittore spagnolo dell’Estremadura. Ho pubblicato poesie e racconti su blog di amici poeti molto stimati (da me e da altri), e ho partecipato alla pubblicazione in E-book di una Silloge insieme alla mia amica poetessa Loredana Semantica. Sono titolare di un account su Facebook dove preferisco riversare tutta la mia scrittura, anziché avere la responsabilità per me gravosa, di gestire un blog, o un sito. Considero la Poesia una inutile e necessaria forma di bellezza e di grazia.  Come la vita.















Il nome

                              
Solo dove tu sei, là sorge un luogo.
                                                          Rainer Maria Rilke

Per dare il nome a un luogo
ci vuole una guerra, ma solo se vinta
e un miracolo di sangue e di fuoco.
Ci vuole uno scandalo
la morte di un patriarca
la mano di un santo che fonda villaggi
una siccità improvvisa
e la bacchetta di un rabdomante.
Ci vuole una fioritura a gennaio
e la neve di luglio
un delfino spiaggiato
una sirena che si taglia la coda.
Per dare il nome a un luogo
ci vuole un bambino veggente
una vecchia strega che sbaglia ricetta
un albero che più non si trova
e una roccia di forma animale.
Ci vuole un amore sbagliato, meglio proibito
due amanti dannati che si involano
un frate che non ne indovina
e una macchina che genera fantasmi.
Ci vuole l’angelo del vento che soffia
e la ruota del carro che si stacca
ci vogliono le corna attorcigliate dei buoi
muli parlanti, e agnelli a due teste
ci vogliono animali volenterosi che si prestano
e naturalmente draghi e munacielli.
Ci vuole una luna traditora
e due genitori che si segnano
quando quel figlio strano, allora
indica il cielo, e chiede perché con la mano.


 

Ritorno dal funerale

Succede al ritorno da un funerale
alla nostra età succede ed è curioso
che si pensi all’apparecchiatura della fossa.
E nel vedere quel terreno pietroso
tante volte concimato da strati d’ossa
si tenda a ritornare al minerale elementare.
E tutte le immagini del ventre da nutrire
di fare da sostegno ai fiori e all'erba
di essere la radice quadrata della rosa
di reggere l'impalcatura azzurra
chiamata su per giù a volte cielo
comincino semplicemente a esser viste
più come vita trattenuta in volo
che insomma come volo di una vita.
Succede che quell'alito di vento
che il morto con un soffio ha fatto alzare
per scompigliare i fiori alle corone
e i riccioli di messa in piega alle signore
più che un disturbo di pensiero
sia il supporto lieve alla profondità
di quel silenzio che tutto intorno lì
è stato pervicacemente messo in croce.


 

Ultra senso

A volte la poesia ha un ultrasenso
un’onda non udibile si infrange
arriva alle soglie degli scogli sentinelle
rovescia cose cuori cianfrusaglie
dimore interiori impeccabili e ordinate
scioglie le statue di sale chiamandole lacrime.

Solo alcune volte non sempre
ma per quelle volte basta
smetti di leggere e già sei un altro
rifai le stesse cose con altri gesti
riconsideri la luce nelle foglie che precipitano
la linfa degli alberi che ancora vi circola
e allora ti stupisce il silenzio di una strada.


 

Una via

Andiamo via
andiamo via
i sogni vanno finiti di sognare
non accontentiamoci di un risveglio senza ricordi
andiamo, giriamo la lanterna verso la strada
le storie segnalate potrebbero non esser nostre
il tessuto non ha uno strappo perfetto nella trama
i piedi dolgono ben prima del primo passo
ma siamo nati camminatori di sentieri sbarrati
i figli devono sapere del sonno che agitiamo per aprirli
la vita non riconosce desideri sottaciuti
andiamo per diventare vogatori e carrettieri
in fondo siamo palombari di noi stessi
le strade dritte fanno storti tutti i sogni.   




















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