Francesco Tontoli dice di sé:
Sono nato a Maddaloni in provincia di Caserta nel Febbraio del 1956, e lì ho vissuto per 19 anni. Poi mi sono iscritto alla Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Pisa, scegliendo di andare a vivere in quella città. Ho sostenuto parecchi esami, ma non sono riuscito a laurearmi, anche cambiando Facoltà, e scegliendo Filosofia. Ho avuto la fortuna di conoscere, e di frequentarne le lezioni sostenendo l’esame di Storia della Filosofia Antica, un grande Maestro come Giorgio Colli, poco prima della sua morte. Erano anni duri e difficili. C’era il terrorismo e la vitale protesta giovanile si andava esaurendo in un bagno di sangue. Io ho messo su famiglia. Ho sposato la donna che amo, ho avuto da lei due figli ormai grandi, e ho trovato un lavoro. Sono tuttora un Educatore nei Convitti Nazionali, e nelle Istituzioni Educative in genere, e mi occupo oltre che di Poesia, anche di Musica. Sono un jazzista e compositore, e opero nell’ambiente musicale pisano da molti anni. Considero fondamentale per la mia visione della Musica (e della vita) la conoscenza, l’amicizia, e la lezione di Donald Rafael Garrett, grande jazzista di Chicago che ha operato per qualche anno a Pisa tra la fine degli anni 70, e l’inizio degli ’80. Suono la chitarra. Riguardo alla Poesia ho ricevuto la folgorante iniziazione durante i primi anni del Liceo dal mio professore di Filosofia, il poeta e prete Giuseppe Centore, e dal mio grande amico e Maestro, Josè Antonio Càceres Pena, poeta e pittore spagnolo dell’Estremadura. Ho pubblicato poesie e racconti su blog di amici poeti molto stimati (da me e da altri), e ho partecipato alla pubblicazione in E-book di una Silloge insieme alla mia amica poetessa Loredana Semantica. Sono titolare di un account su Facebook dove preferisco riversare tutta la mia scrittura, anziché avere la responsabilità per me gravosa, di gestire un blog, o un sito. Considero la Poesia una inutile e necessaria forma di bellezza e di grazia. Come la vita.
Il
nome
Solo dove tu sei, là sorge un luogo.
Rainer Maria Rilke
Per dare il nome a un luogo
ci
vuole una guerra, ma solo se vinta
e un
miracolo di sangue e di fuoco.
Ci
vuole uno scandalo
la
morte di un patriarca
la
mano di un santo che fonda villaggi
una
siccità improvvisa
e la
bacchetta di un rabdomante.
Ci
vuole una fioritura a gennaio
e la
neve di luglio
un
delfino spiaggiato
una
sirena che si taglia la coda.
Per dare
il nome a un luogo
ci
vuole un bambino veggente
una
vecchia strega che sbaglia ricetta
un
albero che più non si trova
e una
roccia di forma animale.
Ci
vuole un amore sbagliato, meglio proibito
due
amanti dannati che si involano
un
frate che non ne indovina
e una
macchina che genera fantasmi.
Ci
vuole l’angelo del vento che soffia
e la
ruota del carro che si stacca
ci
vogliono le corna attorcigliate dei buoi
muli
parlanti, e agnelli a due teste
ci
vogliono animali volenterosi che si prestano
e
naturalmente draghi e munacielli.
Ci
vuole una luna traditora
e due
genitori che si segnano
quando
quel figlio strano, allora
indica
il cielo, e chiede perché con la mano.
Ritorno dal funerale
Succede al ritorno da un funerale
alla
nostra età succede ed è curioso
che
si pensi all’apparecchiatura della fossa.
E nel
vedere quel terreno pietroso
tante
volte concimato da strati d’ossa
si
tenda a ritornare al minerale elementare.
E
tutte le immagini del ventre da nutrire
di
fare da sostegno ai fiori e all'erba
di
essere la radice quadrata della rosa
di
reggere l'impalcatura azzurra
chiamata
su per giù a volte cielo
comincino
semplicemente a esser viste
più
come vita trattenuta in volo
che
insomma come volo di una vita.
Succede
che quell'alito di vento
che
il morto con un soffio ha fatto alzare
per
scompigliare i fiori alle corone
e i
riccioli di messa in piega alle signore
più
che un disturbo di pensiero
sia
il supporto lieve alla profondità
di
quel silenzio che tutto intorno lì
è
stato pervicacemente messo in croce.
Ultra senso
A volte la poesia ha un ultrasenso
un’onda
non udibile si infrange
arriva
alle soglie degli scogli sentinelle
rovescia
cose cuori cianfrusaglie
dimore
interiori impeccabili e ordinate
scioglie
le statue di sale chiamandole lacrime.
Solo alcune volte non sempre
ma
per quelle volte basta
smetti
di leggere e già sei un altro
rifai
le stesse cose con altri gesti
riconsideri
la luce nelle foglie che precipitano
la
linfa degli alberi che ancora vi circola
e allora
ti stupisce il silenzio di una strada.
Una via
Andiamo via
andiamo
via
i
sogni vanno finiti di sognare
non
accontentiamoci di un risveglio senza ricordi
andiamo,
giriamo la lanterna verso la strada
le
storie segnalate potrebbero non esser nostre
il
tessuto non ha uno strappo perfetto nella trama
i
piedi dolgono ben prima del primo passo
ma
siamo nati camminatori di sentieri sbarrati
i
figli devono sapere del sonno che agitiamo per aprirli
la
vita non riconosce desideri sottaciuti
andiamo
per diventare vogatori e carrettieri
in
fondo siamo palombari di noi stessi
le
strade dritte fanno storti tutti i sogni.
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