Rita Galbucci dice di sé:
« Le note su di me come scrittrice sono veramente scarne, sono un’esordiente, di me si vedono pubblicate due poesie su un’antologia poetica edita dalla Aletti dal titolo “Verrà il mattino e avrà un tuo verso” e sulla pagina di poesia della rivista “Illustrati”. A breve uscirà la mia prima raccolta di poesie. Sono cofondatrice di un gruppo nascente di lettura ad alta voce di poesia LeggiAmo che si prefigge di divulgare la parola poetica attraverso eventi pubblici. Sono nata a Bologna il 30 Aprile 1961 e a Bologna lavoro e scrivo. »
***
Eri quella tutta bianca
la te dai denti sani
occhi allungati fuori campo
a cercare dietro a
un tuo angolo di vento.
Il cane perso in autostrada
sprovveduto al ciglio
con quella coda sempre
in vago movimento.
Cucciolata di notte e
latrati alla luna fredda
e freddo alla notte madre
e nicchia focolare ai figli.
E freddo alla sconosciuta
te tutta bianca
eri tua figlia.
***
Sfogliato fiore spampanato
dritto al dunque molle
si attarda la donna e pensa
una fede di riserva attitudine
allenata ad amori per natura.
Ma fatica di bestia sudata
lei, l’amore di natura
snaturata più morta che viva
toglie stivali incastrati alla terra
seccata dopo il pianto respira
col naso grosso l’aria fine
una sera bella scura non sa
primavera nel petto munto
naso grosso all’aria fine
di amore come mantello
la sera che la sogna regina.
***
Ci sputo
sull’essere visibile
riconosciuta stata
riprodotta avere amato
tradito creduto
di fare differenza.
Sono sollevata a
essere nessuno
un filo d’erba
un piccolo pensiero
eppure forza immane
acqua di diga rotta.
Ma solo, solo,
mio malgrado come respiro
per sopravvivenza
come farebbe un cane
un riccio o un grillo
e non
per blasonata appartenenza.
Io che ho un fratello
che porta il mio nome assetato
nella terra arsa
e una sorella madre me
di parto chino su terre crepate
sorte maledetta
mi riporterà al ciclo suo
sarò ancora più schiava
a reggere un figlio nato
con solo un alito di vita
perché io possa soffrirne la morte.
Coscienza sotto il faro.
Umana, umana
bloccata all’umano
tanto da percepire dio
il padre
nell’abbandono.
***
Un inizio si compie,
ma il suo finale
è sempre una parola tronca
crocifissa contro il muro.
Il fatto è che il tempo
non ha carattere
svolge se stesso
indifferente ai nostri passi
siamo noi che lo balliamo
e per solitudine
gli diamo un nome
tipo vita mia.
______________________________________
Dopo aver letto (e riletto più volte) le poesie di Rita Galbucci, l’impressione, che in me s’è fortemente fissata, posso tradurla col dire che qui ci troviamo di fronte a una poesia dal linguaggio deciso e scarno, che non abbonda certo in aggettivi. Una poesia di cui sento le aspre durezze, le asperità espressive e strutturali. Ma proprio queste durezze e asperità ci restituiscono dei versi tanto belli quanto intensi, a volte teneri, ma più spesso graffianti, selvatici quasi. Se ad esempio prendiamo il secondo fra i testi qui presentati , esso ha un andamento ritmico tale da “sbalestrare”, forse provocatoriamente, il lettore, perché il testo stesso ha due soli segni d'interpunzione, e spesso il verso singolo contiene una non visibile cesura. Credo che, questo, Rita Galbucci lo faccia per destrutturare la singola proposizione, divenuta essa stessa un più ampio significante, da ricomporre a cura del lettore, per ritrovarvi significanti propri (e relativi significati). Questa, con cui abbiamo a che fare, è poesia dell'affermazione della vita, malgrado tutte le brutture e i tiri mancini della vita. Sento, in uno dei testi presenti, in certi luoghi di questo testo, l’eco di una invettiva possente, di un anatema e di un grido. E nessun tentativo consolatorio. Quella di Rita Galbucci è poesia lieve e tuttavia forte, di una forza che è quella delle immagini evocate, ma innanzi tutto è quella delle parole scelte. E i suoi versi sono duri, teneri, talvolta aggressivi, graffianti, selvatici: versi che quando devono, sanno far male.
RispondiEliminaA chiusa di questo commento, mi auguro che tutti noi si possa veder presto, in forma di libro, la prima delle opere “ufficiali” di Rita Galbucci.
Antonino Caponnetto