lunedì 2 aprile 2012

GIANCARLO SERAFINO - SEI POESIE



Giancarlo  Serafino (Campi Salentina) ha pubblicato nel 2003 “Passaggio d’estate”  Zane Editrice con presentazione di Giuseppe Vese. Sempre nel 2003 è stato  Premio Athena per la poesia “Nenia che galleggia sull’Adriatico”. Ancora per la Zane Editrice nel 2007 pubblica “Per canto e per amore”con la presentazione di Giuliana Coppola. Nel 2011 per i caratteri di CFR edizioni pubblica “Poesie sociali e civili” a cura di Gianmario Lucini con note di Enzo Rega ed Antonio Spagnuolo. Presente in antologie nazionali “Impoetico mafioso” “SalentoSilente”, “La giusta collera” "Oltre le nazioni", è poeta apprezzato nel web, dove sue poesie appaiono in diversi blog, gruppi letterati e riviste (egli stesso è amministratore del gruppo “Cenacolo”). Docente e Psicologo vive e lavora a Lecce. 
Note critiche, interviste su questo Autore, suoi testi poetici si possono trovare su:
http://www.corrieresalentino.it/interviste/40021-poesie-sociali-e-civili-silloge-poetica-di-giancarlo-serafino


Hanno detto di Giancarlo Serafino:



Maria Grazia Toscano (Corriere Salentino): «Poeta salentino, controcorrente, versatile ed affabile opera sul piano di un “logos interrogante”  che scandaglia l’analisi del valore esistenziale per cogliere il piacere del bello e del divino, sedimentare, filtrare e raccogliere  le  infinite energie provenienti dalla sua particolare sensibilità, infatti  le sue liriche sono profondi messaggi  nei quali l’eticità della vita emerge e si comunica con la determinazione  del tempo di cui si è eredi e quello futuro.
La sua poesia può avere un’utilità morale, difatti, analogamente alla religione, alla legge ed alla politica, ad essa si può attribuire un valore etico, d’impegno civile e sociale, lì dove nella nostra civiltà tecnologica, materialistica, arida, che spinge ognuno di noi alla ricerca spasmodica di un proprio tornaconto economico, più che mai essa assume un ruolo centrale, volto a consentire all’uomo di riappropriarsi della sua dimensione spirituale, creativa e “fanciullina”.  Essa nasce dall’esigenza di comunicare e dalla necessità di emanciparsi da uno stato di solitudine interiore. »

Antonio Spagnuolo (IL Denaro) [su: Giancarlo Serafino, “Poesie sociali e civili” – Ed. CFR – 2011 – pagg.72 - € 10,00]: «Un tema che propone interrogativi irrequieti e problematici, ricchi di immagini suggestive e tema redatto in poesia, sospesa alle illusioni del subconscio. Qui la tecnica della parola è di sorprendente luminosità, in un lungo colloquio, per il quale la profonda carica umana esalta il pensiero nella ricerca di una realtà quotidiana e sociale e civile , che nel contempo arricchisce e stordisce. “Paesaggi della realtà – scrive Gianmario Lucini nella prefazione – che accompagnano la nostra esistenza, anche quando volgiamo lo sguardo altrove e non vogliamo o possiamo vederla, questa realtà.” La misura è metafora anche quando ogni verità sembra sbandare, quando il pensiero si ferma. Un accordo affidato al segno della psiche, tra le innumerevoli impressioni del sociale , consapevoli di memorie o nostalgie che incombono sulla città, accomunando stagioni o proponendo particolari significazioni. Passaggi che riconoscono il riferirsi al comune pensiero nettamente distinto dalla incursione della fantasia. »

Anna Maria Curci (Cronache di Mutter Courage): « Si fa presto a dire “poesia civile”. Il problema è percorrerne le strade scansando le partiture per trombone che si offrono solerti e le altrettanto zelanti banalità. 
Dosare Zivilcourage e arte della parola è impresa nella quale si rischia l’osso del collo. Giancarlo Serafino affronta il rischio nella sua raccolta Poesie sociali e civili. Presta la voce a chi voce, per statuto imposto dalle mode di sempre ovvero per condizione dis-umana, non ha: i bambini (degli) ultimi del mondo, i cani (dei) famosi, i naufraghi, i marchiati dalla lebbra dell’esclusione, i perenni inadeguati. »






Neve di marzo




Di fronte ai sassi chini come narcisi
divisi da piccole polle di rugiada
a stirarci la corolla con un pallido
pettine di raggi.


 Ti ricordi della neve di marzo?
Il giardino incatenato da fili d’argento
e quel vento sottile che ci faceva sentire
essere biada, e i cento cavalli
nelle praterie dietro casa…


 Allora avevi un lavoro ed ali.
Una sedia, due
non mancavano, la cucina sbuffava
come il trenino a vapore.


 Ti ricordi delle piche sul davanzale?
Si apriva la finestra con in mano un poco di carne…
e un oceano di vapori entrava nelle nari.
Difficile capire, comprendere
una giornata breve in lunghe salite:
da allora la strada si è ristretta
per disdetta dell’età.


 Forse.


 Ed il lavoro sfumato, le ali lasciate
sul divano a poltrire.
E sei volato comunque!
Sul selciato una corolla
ed in una rigola di pioggia
le tue lacrime.






Caracollare piano




Qualche casa bianca al di là della scogliera
qualche spruzzo effervescente sul niente
cancellate ormai le orme della sera
che lasciammo tra grilli in festa
ed una biscia di  luna sfuggente.
Ritagliare un momento a che serve?
Ci vorrebbe un mausoleo delle scopate,
qualcuna scolpita con lo sbattere delle onde
qualcuna imbalsamata nel cantiere…
E poi? Non che voglia essere immortale,
m’inquieta semplicemente quell’illusione
di sentirmi saldo, quando so che la vita
è solo una scia che corre bruciando
la sua essenza, parvenza di un caracollare
piano che porta sempre ad una foce...

Se mi vedi un moscerino lucente dello sciame
è per l’equivoca natura del mio vibrare
condanna di un’anima inquieta più del mare
che non ha argini o battigia per frenare!






Quel che ci resta




Al parcheggio dei camion
disperato correva…
Il confine non è mai lontano
ma i pochi chilometri
sono montagne di guano
senza bandiera.

In basso è caduto
schiodato
il quadro di Karl Marx,
traballante
si è fermato sulla spalliera.
Questa sera
ogni idea porta una parrucca
che pesa
e la testa funziona come
un organo che suona
con la tastiera rotta.

Dietro un paravento…
stiamo aspettando una primavera
plastificata come conviene
a quest’Italia melodrammatica
tanto ridicola e scollata 
esatta copia di cinecittà.

Tre giri della luna sulla veranda
e lungo i fianchi le discese…
Noi stanchi di guerre e contese
con una stufa a gasolio
asciughiamo la poca dignità 
che ci resta nel fondo 
all’invisibile secreta,
immobili
come pupi di cartapesta
che perdettero chiave.






Occhio capovolto




Hanno spiantato anche il limone
muore insieme ad un giorno che non ha visto sole.
Mala razza di polvere
ammucchiata sugli occhi di Dio!
Accecato è il bisogno. Pure il grido rabbioso.
Ma nelle corsie d’ospedale si rimette
in bilico tracotanza e fragilità:
tutti si è ciechi di fronte alla dignità
del dolore e della morte
e si muore senza potere in vergine candore.


L’eguaglianza della solitudine è come varichina
sbianca sgrassa le enfasi dell’Io, spiana altezze
smussa vezzi e trezze, e ti ritrovi animale.
Già! Perché tutto il discorso gira intorno
ad un chiaroscuro contorto mostro
l’Idra che morde quando non t’aspetti
e t’attorciglia carni e pensieri macerando
i nei che ti segnarono la vita singolare !
Tu dammi rifugio nel tuo ventre
tienimi raccolto, tienimi dentro
nel mosto dei fermenti, in profondità.
Sappi che nella vulva del mondo
dorme con occhio capovolto
un ciclope sepolto, feticcio stolto
delle brame della storia, saziato
dal mondo in gloria della sua bestialità.






Dopo ieri e l’altro ieri




Non ricordo nome e fattezze
ma quel sorriso increspato
e il casto suo sussurro che
mi si è impigliato nelle orecchie:
<che grosso!>  ed io rospo, rosso
di vampe a salire velocemente
le erte rampe dell’adolescenza.


Oh giorni rinchiusi nella cassapanca
del mio demone!
Con pane olio e pomodoro
mi davo la forza di competere
con la quercia.
E guardavo mio padre, la fatica
e le ingiallite strade di Addis Abeba
fino all’orto, la vita senza bivi
col peso della guerra.


Oggi allo specchio mi stiracchio
e rimescolo fumi addensati alle
mie pareti.
Di ieri, dopo ieri e l’altro ieri…


                            Questo sono Io?
Io che annuso come segugio
la pista del caso rimango pervaso
dalla conta dei giorni, uno per uno!
Ed a ognuno ho dato un marchio
come se avessero pelle d’agnello,
sapevo che li avrei perduti, immolati
all’ingordigia di dei banchettanti.


Così svanì la sua bocca rosata
leggermente impiumata di sillabe sottili,
e svanì la meraviglia del mio seme
in gocce di favo, perlato
a competere col candore del seno.
Ma ebbi coraggio! Con oltraggio
agli dèi rubai il suo sorriso increspato.






Tango tridimensionale




Chissà in quante dimensioni
avrò sparso idee sperma e sangue

e forse per questo mi vedo

un filo teso tra due stelle

o un’amaca dondolante in un

firmamento senza presente.



E odo il gioioso coro dall’osteria
in Val di Salice sui seni di Torino
e… quella scusa della vuelta per 
tirarti ballando fuori dalla porta.

O tango infinito tango tridimensionale
nell’armadio giri con l’eskimo che aspetta
che apra l’anta per andare nei cortei
di Potere operaio e Lotta continua
e ne buio di naftalina freme il mio midi
aspettando in Corso Francia il bus per Rivoli.

Chissà in quante dimensioni
ho lasciato tracce dell’inconcludenza
dei miei pensieri, eppure mi sembrarono
forti come ceppi, se mai è esistito ieri.
In questo secolo di vigliacchi l’ideale 
è una malattia, smantellare lo stato sociale
una necessità di chi non conosce povertà
e ragiona in termini di “modernità”.

E dopo che ti presi nella cabina della Standa
con i guanti ti coprivi il volto dall’aria gelida 
dopo i baci…ed il tuo corpo odorava di mandorla.

Chissà in quale dimensione 
abbandonerò il mio corpo. Chissà!
Chissà se ci separeremo mai veramente:
corpo sangue sperma pensieri vorticosamente
in un unico imbuto a ruotare. Chissà! 
Strano ateo che non crede alla fine. 
Strano davvero se mi vedo sotto il velo dell’immensità.



7 commenti:

  1. Poeta dell'engagement, dell'impegno, nel senso sociale e attuale del termine, Giancarlo Serafino - il suo cognome evoca gli arcangeli, anche quelli pensanti e ribelli - ha forse finito per tracciarne la linea del destino, quella del cantore che si riflette nella, che riflette la, sua epoca, il suo tempo sociale, la sua storia singolare e collettiva, la sua passione pedagogica, ma in maniera toute à fait sincretica con il canto, il ritmo pulsante del cuore, e in esso, con le cadenze ritmico musicali della poesia, che nel nostro Autore hanno spesso potentissime strutture architettoniche, seppur variegate, dalla più classica alla più ardita e innovatrice. Il ritmo dialogico, la voce pacata non ci trarrà in inganno. Essa ci mostra le immagini vive, vividissime, di una realtà concreta e cruda ma filtrata dalla magica luce dei versi di Giancarlo.

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  2. Non so quanto sia degno del tuo ispiratissimo commento, magari i lettori diranno la loro, io non posso altro che ringraziare Antonino, ma non solo per questo mio passaggio, ma per l'abnegazione disinteressata e passionale che lo lega alla poesia.Grazie di cuore.Giancarlo

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  3. ‎ CARACOLLARE PIANO - "...qualche spruzzo evanescente sul niente" . Consapevolezza di quanto effimero sia il nostro percorso nella vita . Qualche ricordo scolpito nella memoria, e poi? L' illusione che la vita duri a lungo, vada piano: inavvertibilmente corre alla sua foce. Fa parte dell' "equivoca natura" dell' uomo quella di dotarsi di un' anima che soddisfi la sua ansia d' infinito. O di emergere - moscerino lucente in uno sciame - per affermare il proprio Io contro la nullità dell' essere. La vacuità dell' esistenza. Nella tua bella poesia c' è la lucida consapevolezza di tutto ciò espresso con rime a volte musicali , a volte troppo crude ,contrastanti , ma valide ad esprimere "il vibrare di un' anima inquietA"

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  4. DOPO IERI E L' ALTRO IERI -Fra i ricordi di una vita ,uno più forte forse di tutti,quando fra candore e malizia, rubasti (con oltraggio agli dei) quel "sorriso increspato", vincendo l' emozione della prima volta. Poesia che va alla ricerca di un tempo, di un Io perduto...

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  5. Ho letto oggi la poesia “Neve di Marzo” per la prima volta.L’ho sentita magica e intensa, mi sono commossa nel leggerla, mi e’ parso di essere in quella casa, di avere la neve intorno e di possedere un paio d' ali, di sentire i cento cavalli, e di poterli vedere, girando appena la testa verso i vetri della finestra, di aspirare il vapore ricco di profumi e umori e insieme la vita, ricca di stimoli e di attese, di essere parte del tutto, del sogno e della vita, sia agli esordi, quando e’uno scrigno pieno di promesse, che piu’ avanti, quando si rivela non diversa da " una giornata breve in lunghe salite”! Dopo averla letta con molta emozione, ho trasmesso la poesia "Neve di marzo" ad Antonio Cornolo', che e' un amico genovese di intensa sensibilita' e di cultura straordinaria (con cui scambio a volte poesie): nel dirgli che la poesia mi aveva emozionata moltissimo, gli ho chiesto di leggerla e di dirmi che cosa sentisse, mi ha risposto cosi':
    "Sì, è davvero bella, forse ancora più di come ti pare. La trovo commovente, eppure sono un vecchio che si sta disabituando alla commozione... grazie".

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  6. "Chissà in quante dimensioni/ho lasciato tracce dell’inconcludenza /dei miei pensieri, eppure mi sembrarono
    forti come ceppi, / se mai è esistito ieri." Quanta poesia onesta , chiara, relazionale, costruita sul quotidiano e non appiattita su di esso, capace di sollevarsi dalle miserie e di cogliere fra le stesse, piccole perle, fragile e incantevoli come gocce di rugiada.
    Narda

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  7. "Ho letto con molto interesse le sei poesie di Giancarlo e vi ho trovato il poeta di razza, sì, ma anche lo psicologo, il sociologo e l’ecologista, perché Giancarlo ha una particolare capacità di trasferire le sensazioni che si provano dinanzi alla natura ad eventi che interessano gli individui.
    Si osserva questo fenomeno già dalla prima poesia “Neve di marzo” dove già l’ambiente si presenta cosparso di difficoltà per uscire da dalle catene di “fili di argento” della rugiada e si passa subito a descrivere la situazione di empasse di una coppia che aveva tutto e che si ritrova a risolvere il proprio caso con un atto tragico.
    Quanto dolore si colgono nei versi di Giancarlo quando deve fare questa amara constatazione!
    Anche in “Caracollare piano” si osserva la stessa situazione: il ricordo, su una scogliera, di ore e momenti di estasi, dà luogo immediatamente alla condizione di chi si ritrova a svollazzare in maniera sgraziata tra moscerini e non individua più il proprio ruolo tra tanti simili che in questo marasma si intrecciano, si scontrano, si odiano e si detestano. E’ il dramma della convivenza umana.
    E poi quanti idoli cadono: il ritratto di Marx, nuovo messia e crollato e caduto in disuso per creare angoscia e disorientamento.
    E irrompe Giancarlo con la protesta in “Occhio capovolto” con la denuncia di chi deve soffrire i ritardi e il disservizio dello stato. Come ignorare i fatti di cronaca che mostrano teorie infinite di ammalati che attendono un minimo di soccorso dinanzi alle astanterie degli ospedali?
    Giancarlo è poeta forbito, sì, ma anche un provocatore, un uomo impegnato a smuove il torpore dalle coscienze di chi certi guai non li deve affrontare, ma ne è causa.
    Questa è poesia gnostica, morale, poesia che mette al centro la condizione della natura e dell’umanità che soffre e subisce danni che danno non fanno a chi li ha provocati. Cosmo Oliva

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