Francesco
Palmieri (Altamura [Bari], 1953). Docente di Materie Letterarie. Vive nell’hinterland
milanese. Nessuna opera finora edita, se si escludono alcuni interventi in un’antologia
(LietoColle) e in una rivista letteraria (Historica). Palmieri è presente su
facebook e in alcuni siti di poesia.
« Non posso negare il carattere filosofico del mio ‘fare poesia’
e nemmeno l’esercizio di un’amplificazione del senso letterale (o tautologico)
del linguaggio, il che significa essenzialmente aver cercato di riprodurre l’eco
emozionale che caratterizza alcune cognizioni strutturali dell’essere e dell’esserci.
Il tempo non è un’unità di misura, soltanto. La Storia non è divenire,
soltanto. E l’umano non è testa-tronco-braccia-gambe, soltanto. Ed è in quel
valore aggiunto, in quella violazione della tautologia che si annida il
luogo-non luogo emozionale da cui il fare poesia attinge. In fondo la poesia è
una didascalia interiore, a margine della ragione e della coscienza, non per
niente spesso si evoca la “musicalità” (del verso), e altrettanto
spesso le si affida l’arduo compito di dare forma e voce a quei tratti imponderabili
del sentire che, senza la poesia, rimarrebbero l’indicibile, l’inaccessibile, l’ombra
scura del discorso esplicito. Insomma… ci si prova a non far estinguere lo
sconcerto dell’anima, ci si prova ad affermare e riaffermare che forse il mondo
non è solo ciò che accade ma anche ciò che, pur accadendo, non si vede...
».
Francesco Palmieri
AVVERTENZA:
A Francesco Palmeri il nostro blog ha già dedicato due post. Si veda:
FRANCESCO PALMIERI - TRE POESIE
A Francesco Palmeri il nostro blog ha già dedicato due post. Si veda:
FRANCESCO PALMIERI - TRE POESIE
AGGIORNAMENTO BIO-BIBLIOGRAFICO DEL 26 MARZO 2014:
Nell’autunno del 2012, per i tipi de La Vita Felice, il nostro Autore pubblica la raccolta poetica dal titolo “STUDI LIRICI (Solo parole d’amore)” [ la cui scheda descrittiva – che di seguito riportiamo – è visibile sul sito della casa editrice all’indirizzo: http://www.lavitafelice.it/scheda-libro/francesco-palmieri/studi-lirici-9788877994608-35202.html ].
“ Non è facile parlare d’amore. E soprattutto è difficilissimo scrivere poesie d’amore. Non è facile dopo Prévert, Neruda, Salinas, Hikmet ed altri ancora.
Ma l’amore non appartiene all’esclusivo sentire – per quanto raffinato – dei grandi poeti, l’amore non è circoscrivibile all’interno del linguaggio di poesie che pur hanno saputo toccare i vertici del sublime o la dimensione abissale e seduttiva della tragedia erotica; l’amore è un sentimento originario, primario, archetipico, che attraversa tutta la Storia umana, tanto è radicato a fondo in ogni uomo e donna; ed è per questa ontologia dell’amore che se ne è scritto, se ne scrive e, presumibilmente, se ne scriverà.
Gli «Studi lirici» si inseriscono idealmente in questa immaginaria filogenesi, forse con l’intento di testimoniare al presente, nell’ora e qui, come ancora oggi agisca, incida e funzioni la fisica e la metafisica dell’amore, quell’Eros così universalmente provato, vissuto e patito, seppure attraverso il filtro – e non potrebbe essere altrimenti – di un Io che vi si pone di fronte, armato unicamente di ascolto di sé e di parola. Non a caso il sottotitolo della silloge è «solo parole d’amore».
[...] sono un percorso intimo-erotico che non solo pare indicizzare il divenire dilemmatico dell’amore, il suo doppio volto sublime/terrorizzante, ma hanno contestualmente una implicita funzione di catarsi, di necessario abbandono e poi liberazione nella e dalla conflittualità eros/pathos, una sorta di tentativo estremo di dire, raccontare l’esaltazione e la caduta quando Amore diventa il linguaggio fra un Io e un Tu. ”
IL GIOCO DELLA VERITÀ
Bruciare fino all’ultima
scintilla,
questo
tocca,
strappare
con i denti dalla pelle
la
residua piuma che ti resta.
Recidere
lo spago ai palloni nella testa,
pungere
le bolle per lo scoppio
e
sia l’aria e il nulla
l’inconsistente
che li tiene.
Gli
occhi affilo adesso
come
pugnali aguzzi
ed
è censura dura
il
fermo nell’orecchio,
infilzerò
a mezz’aria ogni miraggio
e
sarò sordo al flauto dell’incantatore,
i
cigni lascerò affogare nello stagno
e
sarà bianco sopra all’acqua
(di
ali mai partite).
Domani,
al
cenno lieve della luce,
riporrò
i vestiti sulla porta
e
uscirò nudo
al
ghiaccio che c’è fuori.
In
cielo. In terra.
E
dappertutto.
COSA
RESTA DI UNO SPOGLIATO CIELO (la poesia...)
Ed
ora siamo al dunque.
Si
è incassato il colpo
di
non essere prodigio
(infelici
troppo
per
stare nel mantello
di
deità materne,
dentro
la premura
di
un genitore immenso).
Siamo
carne in movimento,
braccati
dalla fame
e
un giorno preso a caso
ci
ferma il calendario.
Rimane
in mezzo al petto
una
conchiglia cava,
la
zucca senza polpa
mangiata
dalle mosche:
puoi
soffiarci dentro
perché
sia poche note
l’aria
che ci resta.
Il
segno d’elezione.
La
guardia all’estinzione.
UOMINI
ED ALI
Forse
non ti è chiaro
quello
che mi tocca,
spazzare
il pavimento dagli avanzi,
dai
nastrini e le coccarde,
i
fili rotti delle stelle
(che
chi poteva immaginare
fossero
ritagli d’alluminio).
Non
l’ ho chiesto io
(a
chi? alle muse? a chi?)
di
mettermi di stanza sul confine
dove
barbari in assedio
è
già da tempo
che
tentano sortite.
Per
questo il mio racconto
è
solo guerra,
il
dirti chi è caduto
e
chi ancora vive,
sopravvissuto.
Anch’io
avrei voluto
un
viaggio d’aeroplano,
la
perpetua sospensione
della
velina in aria,
la
spinta nel burrone
e
poi le braccia
già
addestrate al volo,
come
l’aquila, il falco,
un
angelo mai visto.
INUTILE
SCONGIURO
Ogni
giorno spargo il sale
sulla
mia porta,
ma
entrano gli spettri,
ugualmente.
Ripongo
nell’armadio l’abito buono
e
dico all’anima che preme:
rimani
nel rifugio,
qui
piovono le bombe (ancora?).
Al
tuo passo, a te,
ancora
questo non è mondo.
È
stato tutto un sogno, dico,
la
storia di una sera
ad
aspettare il sonno
perché
già allora
(ma
io non lo sapevo)
l’abisso
sotto al letto
mi
teneva sveglio.
NON
VOGLIO ANDARE
È
lasciarti ancora nuda dentro al letto
ed
io insaziato a fare le valige,
questo
avvelena i giorni a rimanere.
(Lune
piene i balzi eretti dei tuoi seni,
carne
che io ho morso
la
polpa a fianchi e spalle,
poi
le labbra, il ventre, il collo delicato.
E
ancora le tue gambe
strette
in giro alle mie gambe
e
il tulipano acceso
ed
io lo stelo nell’euforia di crepa).
È
il cesto di frutta al centro della stanza,
uva,
datteri, ciliegie, il rosso del melone,
un
ramo di limoni, nespole e lamponi,
ed
io a fare le valige
perché
dovrò partire,
andarmene
per sempre.
È
il quadro alla parete che ripete il mare,
l’azzurro
di un’estate che mai potrà finire,
la
barca, un pescatore, vele lontane e voli,
conchiglie
sulla riva.
E
poi dalla finestra gli alberi,
colori
nei giardini, i fiori, l’erba,
il
grido di un bambino, i baci innamorati
sopra
alle panchine
ed
io a fare le valigie,
a
prepararmi all’attimo d’eclissi.
E
non sarà la luce
a
farsi ombra.
AMORE
IN NATURA MORTA
Ti
lascio, amore mio,
come
un frutto il ramo
alla
fine di stagione,
come
un’onda l’oceano
nel
tuffo sulla spiaggia,
come
lo stormo i nidi
quando
il tuono chiama
il
tempo di migrare.
Ti
lascio, amore mio
come
la luce
nell’ora
della sera,
come
l’ultima parola
in
fondo a un libro,
come
chi prende il treno
per
un altro viaggio.
Ti
lascio, amore mio,
e
non vorrei,
potessi,
sarei
argine ancora
al
fiume e alla piena,
sarei
fossato e muraglia
all’assalto
di ere,
ai
giorni feroci
che
non mancano mai
(ma
nello specchio mi accerto
di
chi sono,
non
più chi ero,
e
manca il coraggio
alla
sfida degli occhi,
alla
luce spietata
sui
solchi e le pieghe).
Svanirò
come fumo
e
tu non vedrai,
svanirò
come soffio
pur
regalandoti rose.
Ti
lascio, amore mio,
non
io che sono.
Ti
lascia chi fui.
FILOSOFIA
MINIMA
Cosa
c’è da capire
in
una giornata
che
inizia e poi finisce
e
in mezzo
un
respiro, vita d’occhi,
orecchie,
pelle, lingua,
un
profumo di colonia.
Dove
andiamo:
ma
al morire
ad
uno ad uno
come
pesci, come uccelli,
frutti
di una stagione sola
(la
primavera breve
e
troppo novembre troppo dicembre).
Chi
siamo:
a
volte fiori
a
volte ruspe,
carogne
sotto il barocco
di
un discorso,
sempre
carne a consumarsi
tra
un orgasmo
e
uno spavento,
un
decollo d’astronave
e
poi il suolo ed il fracasso.
Da
dove veniamo:
dal
ventre di una madre
dove
un sacco nelle viscere
era
l’infinito intero
e
sonno quieto il buio…
Poi
l’eterno
si
spezzò alla luce.
Con
un grido. Un pianto.
Il
primo.
Ed
è tutto quello che sappiamo.
Per
davvero.
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Ho già detto alcune (poche) cose che penso - e che sempre più si arricchiscono di contenuti e significati e impressioni forti, spesso definitive - del farsi della Poesia in Francesco Palmieri. Una Poesia considerata necessaria da Alessia d'Errigo. Tale convinzione io condivido assolutamente e totalmente. Ho scoperto da poco tutta la poesia che anche la prosa di Francesco contiene e si lascia talvolta debordare. Cifrari dalle dorate cifre, acuminate frecce il cui bersaglio è il cuore della vita, l'intima essenza delle cose umane, tutti mali mondani, le immagini del nulla, le malattie dellanima, i segreti indicibili o quelli inconfessati. E' un elenco infinito. Dirle richiede tempo. Ma come dice Francesco: "il tempo non è un'unità di misura".
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