lunedì 14 maggio 2012

ALBA GNAZI - QUATTRO POESIE INEDITE







Notizia Autobiografica:

Alba Gnazi, nata nel ’74 in provincia di Roma; fin da ragazzina per me le parole sono una chiave e un ponte, un codice privilegiato e misterioso, un canto: leggo da quando ne ho memoria.  Cresciuta con la narrativa italiana e americana, con le prose omeriche e i classici per ragazzi, da adolescente incappo nella Poesia di Montale: esperienza totale e definitiva, che si fa esplosiva quando mi imbatto, un po’ più in là,  in T.S. Eliot.  Ho pubblicato un breve libro di narrativa nel 2010, ho partecipato, e qualche volta anche vinto, a concorsi di Poesia e di racconti di genere vario. Ho scritto delle recensioni per alcune riviste letterarie e musicali  e collaborato all’organizzazione di eventi culturali.








NON ASPETTARE NESSUNO




Offrirsi un appoggio, rilassarsi al di sopra del 
solitario paesaggio di facce
frammentate
nel retrovisore
facce sgombre di corpi, facce
quali nudi e lontani aquiloni offuscati
dal feroce tramonto.

Truci le voci
vibranti in discromia con le
derive di passioni accerchiate dalle
baionette del quotidiano,
Voci
sparute nei petti schermati,
voci sterili e assassine,
voci solerti, bambine voci, voci
in punta di pianto.

Voci che non ti aspettano.

Che non si aspettano più.

Spolveri la tua sera con un dito,
spolveri la ruggine dalle tue ciglia,
dalle tue mani scivolano legioni di nervi,
frammenti di aria sporca di compromessi
vengono inghiottite dai passi rossi del sole che in basso s’incunea
- ed è a te che s’inchina.

Sorridi alle tue mani, alla tua sera, ai tuoi silenzi privi di echi,
e anche al sole sornione, solenne scriba del Tempo.

Silenti ora le voci
Sotto sipari di mesta consuetudine,
Voci taciturne che sfiorano con mute labbra
fronti profumate di oceano
mentre
tra le  bianche dita dei figli dormienti
incastrano lacrime e sconfitte, incredule speranze, esultanze e omissioni,
Dichiarazioni d’amore e battaglie strette tra
un peluche e scorrerie di luce che
lampa e scompare e ritorna e bacia
il muro la finestra il figlio la Voce il tappeto.

Stappi l’ultima bottiglia, assapori il buio sotto la lingua,
buio che favilla e t’acquieta,
posi il bicchiere, il corpo lasso, la bottiglia

posi gli occhi su un’immagine,
su un’idea lucida che si accorcia, si sfilaccia, s’assottiglia,
posi il sonno tra le ciglia.

Voci e facce hai congedato, mentre la notte
tra i tuoi abiti e nelle tue pantofole s’incaglia
e come un gatto resta lì,
a luce spenta, sopita con un occhio solo,
lesta ad agguantare l’alba e a stringerla in un tango
quando
la vita in caute forme
si raggruma e poi si sparpaglia.
Tu volti il fianco, ritrovi il sogno, sospiri piano.

Immemore
la notte seduce l’alba
poi
ti torna accanto e
muore
a te vicino.


                                                                      14/3/12







NEBULOSA 26/12                                




Mischiando
I tuoi suoni col mio umore
I tuoi colori con le mie parole
I tuoi silenzi con le mie virtù

Ricercando
Linearità al confine
Delle tue nebbie sparse
Scompiglio nella simmetria
Delle scale ritmiche delle mie scelte

Centrando
Obiettivi spuri di
Imbellettata protervia, lussureggiante nullità
Sapremo di essere la
Differenza
Di una somma già sottratta
Risulta impudica e aspra
D’una dignità sedotta

In musica scomposti
Dalla musica generati
Fedeli a noi stessi
Che oltre obliqui specchi
Ci siamo riconosciuti.

                                                                      26/12/09







CUORE D’APRILE




Avresti anche potuto credermi
(dispersa io)
se le coltri bianche non
t’avessero raggrumata
non t’avessero raccolta
nella fossa d’un letto sbarrato
se aprile avesse portato
mozziconi di salsedine e
nidi tra le pergole.

Avresti potuto credermi
sorridendo del mio borbottio
vacillante e sfumato
se ti fossi annodata i lacci delle scarpe e
sorretta da pareti di gratitudine
sfacciata avessi riso
uscendo a guardar le nubi.

Avrei anche potuto crederti
(dispersa tu)
se la grandine dei tuoi denti
fossa scrosciata come pioggia gentile
se le foglie di aprile
fossero ingiallite, vizze
di annoiata allegria
se il cane non avesse riparato
- riparando la coda tra le zampe -
nell’andito di polvere e ragni
tra scope e saponi il sentore di te
che lì dentro
- lui lo sapeva -
non avresti sbirciato più.

Avrei anche potuto crederti
affogati gli occhi nel sole
se
il freddo che erano le tue mani
avesse acciottolato bisbigli di
pigne e calore
accanto al fuoco denso e nero
se non avesse tinto
all’improvviso
di ghiaccio il tuo viso
se al freddo ch’era
il mio cuore d’aprile
avessi potuto infine offrire
aliti di primavera
noncurante di te.


                                                                      25/8/09







A ME, ADESSO 




Acquistarti alla luce è stata una vittoria
Scritta su ogni sasso, sospinta da ogni albeggiante maroso.

Di riconoscenza in dimenticanza ho vissuto
Scrutandoti
Temendo quasi che un estro malevolo ti
Ghermisse via da qui, via
Da me, ora seduta a
Guardarti fisso negli occhi, ammirandone gli
Angoli,
occhi pesanti, alla fronte appesi come
Gemme tagliate da mani sapienti
E ogni giorno tirate a lucido.

Se sciogliessi i grani del tempo in acque
Di sorgiva, odoroso sarebbe il
sentore di quel
Noi
(oggi dirompente) che
ieri non avanzava, fitto di
Speranze abbracciate a una roccia, più tenaci di uno stormir di
Foglie, o di promesse.

Tu sai.

Dolce è ora poter delineare il tuo profilo,
conscia di noi, delle nostre mani vicine,
assorte nella stessa Musica,
coltivate dallo stesso sole,
sorvegliate dalla stessa primavera che
Iside sedusse con un bacio di Luna.

Mi alzo, tu con me.
Non servono parole, tra noi.
Ti porgo l’ombrello, tu sosti con una mano sul bavero della mia giacca.
Il sorriso ci fa Una.

Sei la Me della penombra. La Me che sotto urlava.
La Me che mi addormentava, che in me sognava, che a me anelava,
amandomi, riamata;
la Me che incontravo nello specchio e nelle poesie,
e che ora è Tutta
e Tutto.
Sei il qui che non cambia,  l’adesso che non si sposta;
Sei la Musica delle Parole che appassiscono fertili,
e germogliano antiche,
che
Della Storia sigillo si fanno, e condanna, e dominio.

Tempo di andare, mi dici.
Tempo di tornare, ti dico.

Rientrare in sé è patteggiare la pena coi tribunali interiori,
è Sapersi
per meglio Rispettarsi, per ancora
Aspettarsi.
Allo Specchio sono Io,
Io sola.

Una Musica lieve arpeggia coi miei tendini; sui miei passi
costruisce sinfonie
Rosse di sole
Sotto
la breccia dell’orizzonte
che sempre inghiotte terra e sabbia
e rose larghe come aquiloni.


                                                                       21/4/12 









2 commenti:

  1. “Le tout est de tout dire”
    Paul Èluard

    Ho “incontrato” Alba Gnazi su FaceBook. E ad attrarre la mia attenzione sono stati certi suoi brevi testi in prosa ma, insieme, delle particolari citazioni di poeti e scrittori; testi e citazioni che Alba usa a corredo di link musicali di “pezzi” splendidi, a volte sorprendenti. Per tutto questo, qualche giorno fa, le ho chiesto dei suoi testi per questo blog. Ha accettato. Pensavo di vedermi arrivare delle prose. No, erano versi (proprio quelli qui pubblicati). Questo mi ha come scosso. Ero impreparato per delle poesie. Ho dovuto leggerle più volte per fissare il cumulo di impressioni che dentro di me andavano sovrapponendosi. Ho capito, credo, un po’ come Alba possa tenersi con tanta costanza dentro ai molti luoghi della scrittura, come possa variamente esprimere e rendere attivo il suo profondo bisogno di dire e di dirsi. “Fin da ragazzina per me le parole sono una chiave e un ponte, un codice privilegiato e misterioso, un canto”, dice così Alba, e come conseguenza necessaria, non fa (non può e non vuole fare) a meno di scrivere. Credo che proprio la varietà di forme e modi che usa, costituisca per lei una salvezza rispetto alla continuità. Se scrivesse soltanto poesie, forse dovrebbe ogni tanto fermarsi – e talvolta soffrire di questo… “Perché è lecito scrivere versi di rado e controvoglia, / spinti da una costrizione insopportabile e solo con la speranza / che spiriti buoni, non maligni, facciano di noi il loro strumento”, come dice Czesław Miłosz. E a me pare che tutto ciò abbia prepotentemente a che fare con la poesia di Alba Gnazi. Una poesia della varietà espressiva, stilistica, formale, ma le cui cifre e simboli e cifrari - pur nei loro aspetti più segreti, più misteriosi e oscuri - è seducente, ammaliante talvolta. Una poesia che abita l’anima e il sentimento, ma anche lo spirito e l’intelletto. Una poesia nient’affatto sentimentale però, a volte quasi prosastica o antilirica, a volte dolcemente ritmica, a volte commovente, ma sempre capace di coinvolgere per ogni fibra del corpo e dell’anima il lettore. È una poesia che si “sente”, che si vive, e sulla quale poco possono le parole che si provano a descriverla. Una poesia che vive il suo tempo storico come vive i nonnulla del quotidiano, che conosce le moltissime maschere del nulla. Ma che, dicendole, ne svela debolezze ed orrori. È una poesia che ama, e che potrà amare anche se stessa, ma solo finché resterà capace di lottare coerentemente per affermare la vita e per mostrare in tutta chiarezza i mille volti del reale, perché, come dice Èluard: “Le tout est de tout dire”.

    Antonino Caponnetto

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  2. Ho conosciuto Alba circa due anni fa... le alchimie delle similitudini hanno costruito nel tempo un'amicizia che affonda le radici in molte cose condivise, l'amore per i libri, la felicità di tenere una penna in mano lasciandola scorrere senza sosta sulla carta, in preda ai nostri pensieri.
    E le sue poesie regalano forti emozioni e fanno vibrare le corde dell'anima.

    Anna Maria Funari

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