Quel che dice di sé:
« Un po’ di romanzi nel cassetto… poesie e racconti… (tanti).Una scrittura che con slanci e pause dura da più di mezzo secolo…In un lontano passato ho pubblicato testi di divulgazione storica per ragazzi, e molte traduzioni (perfino una versione in prosa dell’Eneide)… Poi sono vissuto della mia scrittura come “writer” in una grande azienda. Qualcuno là mi chiamò “penna d’oro”, da cui un mio verso “penna d’oro per oro venduta”.
Nell’ultimo scorcio dello scorso secolo ho fondato, con altri, la rivista on line “Pseudolo” vissuta circa 6 anni. Alcuni abbastanza cospicui ruderi di “Pseudolo” sono ancora visitabili nel sito: www.giuseppecornacchia.com/pseudolo.
Credo ci sia ben poco d’altro da dire: vivo a Daverio, vicino Varese, mi piace viaggiare e più che bipolare, mi definirei ciclotimico. »
Paolo Santarone, che non conosco come scrittore, comincio
però a conoscere come poeta. Un poeta i cui lineamenti sono, di fatto, secondo
me, piuttosto “proteiformi”, ma un raro poeta - con una voce e uno stile assai
variegati, certo - purtuttavia saldamente in possesso (e pienamente conscio)
della sua propria cifra poetica. Un raro poeta ho detto. Sì, perché Santarone
conosce a fondo e utilizza l’intera tradizione poetico-letteraria italiana ed
europea, e tutto un patrimonio di tradizioni, usi e costumi legati (non solo)
all’essere - nella propria anima e nella propria lingua originaria - un
lombardo. Il suo lavoro (per quanto poco io possa conoscerlo) contiene, insieme a una sorta di vena epico-visionaria, un'ispirazione antopologico-naturalistica, guidate entrambe, sì dal sentimento, ma
per nulla sentimentali… Il suo lavoro, dicevo, è governato anzitutto da un
grande rigore metodico. Credo che ciò ne dica tutta la classicità. E c’è anche,
nella poesia di Paolo, l’alta ironia tipica dei grandi. Per quanto detto, il
nostro poeta – che non occupa alcun posto speciale nella poesia odierna, non
sarebbe comunque incasellabile in un qualsivoglia movimento letterario più o
meno importante. Egli mi sembra, invece, destinato a percorrere e ripercorrere
in solitaria la distanza fra i suoi diversi “cuori”. Il senso di quest’ultima
affermazione cercherò di precisarlo così: “il poeta latino Ennio sosteneva di
avere tre cuori, tanti quante erano le lingue che parlava: l’osco, il greco e
il latino. Ed aveva ragione: ogni lingua infatti, lungi dall’essere soltanto un
efficientissimo sistema di comunicazione, è una filosofia, un modo di pensare,
di concepire e, secondo alcuni, addirittura di creare il mondo. La lingua è il
deposito più profondo di una civiltà; è quanto di più autenticamente proprio e
durevole questa va lentamente depositando e conservando nell’intimo della sua
storia”, come scrive Fabrizio Galvagni in Piö
’n là , Rime, versi liberi e
traduzioni in dialetto bresciano, Editrice La Rosa, Brescia, 1994. D’altra
parte un proverbio ungherese dice: Tante
lingue conosci (parli) tante persone sei. Per parlare una lingua è
necessario diventare un’altra persona: si può, infatti, conoscere veramente una
lingua se si impara a pensare come la gente che la parla. Ogni lingua è lo
specchio della vita, della cultura di un popolo, quindi della civiltà di un
gruppo etnico, di una nazione intera. Nel caso del poeta Paolo Santarone, direi
che sono stati e saranno i suoi diversi cuori a determinarne i caratteri essenziali,
i cifrari, il multiforme stile, le frontiere da varcare, il destino poetico.
Antonino Caponnetto
AVVERTENZA: di Paolo Santarone cisiamo già occupati su questo blog (si veda: PIERO E IL RITORNO DELLA NEBBIA)
Lago di Varese
I
Saltano i pesci del lago
in questa calda foschia
Rapido schiocco d’acqua
uno spruzzo
e il lento seguire dei cerchi
che quietamente diradano
Gioco d’amore
forse
o
talora
un diversivo contro il predatore
un tentativo di fuga
Sotto il crespo pel d’acqua
qualcosa accade
atto segreto e celato
mistero che le ninfee
e le castagne d’acqua
proteggono
intrico di gambi verdi
Non sa
il pescatore
l’esito della lotta
di sangue o d’amore
A lui solo è dato
vedere quel salto
atto senza apparente ragione
con i suoi brevi effetti
sulla piana densa
opaca d’alghe minuscole
del lago
Pure
il pescatore ha parte
in questi segreti lacustri
lui che quieto da ore
sulla barca aspetta
Aspetto?
Distratto
l’occhio solo di rado cade
sul galleggiante
lontano e improbabile
Non attendo
altro accadimento
che questa vita acquatica
Soltanto sto
Anch’io senza vere ragioni
o con oscuro movente
anch’io puro fatto
essenza
Il pescatore sulla vecchia barca
Questo immotivato essere
fa anche me parte del mistero
attore della recita
in una sala senza spettatori
Lago
barca
pescatore e pesce
e intorno
la spietata agonia del giorno
trionfale corrusca attesa
della melanconia del crepuscolo
E col pesce divido il suo segreto
II
Da quando avevo diecianni
conosco quest’acqua immota
lago senza emissari
uno stagno quasi
una palude
Conosco il suo lento morire
da quando
trovai chiazze verdi sulla pelle
da curare con pomate
dopo un felice bagno
alla Baia del Re
Mai fu agonia così contrastata
né lotta per vivere più forte
Il lago s’è fatto
negli anni
ricetto d’ogni tipo d’uccelli
e i canneti s’estendono
in un brulicare d’anime e di verde
Qui vivono ancora
molti dei miei pesci infantili
lo splendente gobbino
che prende nome dal Sole
l’alborella e il triotto
che qui chiamiamo trollino
riverberanti d’argento
il persico trota
vorace e così sciocco che
noi del lago
diamo il suo nome ai creduloni
la misteriosa anguilla
crepuscolare
e l’infestante scardola
forte della sua
incommestibilità
Qui crescono ancora
piante dai grandi fiori le ninfee
e la castagna d’acqua
dal frutto a tricorno con cui
ai tempi
s’ornavano di collane le ragazze
Scomparsi
invece
il luccio
barracuda delle saghe piscatorie
e il persico reale
dalla livrea striata
Scomparsi
La memoria soltanto mi riporta
a quei fanciulli pescatori
con le gambe a mezz’acqua
pelose di moschini
in un giorno assolato e senza vento
e a quella miracolosa pesca di persici
che fece Piero e me così fieri
così incommensurabilmente felici
per un giorno
E non c’è alcun ricordo del mio lago
senza la gloria finale d’un tramonto
Anche allora
vedemmo gli ultimi persici allamati
brillare in quella luce rossa e oro
in quell’orgoglio inaudito
di grandezza
con cirrocumuli brucianti di splendore
sopra le creste del Rosa
E quella stanchezza
presagio o nostalgia
che prende il pescatore al suo ritorno
Presto la tua festa
sfumerà nei colori del sogno
nella millanteria del ricordo
Nella favola forse
se non fosse
che Piero è altrove ora
e i persici
e i lucci
Con pazienza di superstite
come il mio lago
io conservo nel cuore
quello che ancora vive
e ciò che è morto
III
Negli occhi ho ancora
e resterà
io credo
fino all’ultima ora
la festosa fiera
di pesci multicolori
e d’ogni altra bizzarria marina
nelle gioiose acque
del Mar Rosso
dove solo pregare
puoi
per dominare un incanto
che acceca
e di parole e suoni
priva la mente
splendore abbacinante dell’ineffabile
E proprio in quell’immersione d’assoluto
capitò di pensare
al quieto avello varesino
a quelle poche specie tenaci
razze perseguitate
che vivono l’ombroso silenzio
delle acque morte
i disprezzati pesci d’acqua dolce
Oh povero gobbino iridato
che in questo inconfrontato mondo piccolo
per il tuo pallido splendore
vincesti il nome di persico sole
Tu che con cura parentale
l’isoletta di ghiaia e sabbia del tuo nido
proteggi
ardito
fino al punto d’affrontare l’alluce
che incauto lo profana
Proprio a te pensavo
e alla tenuità morbida
delle tue policromie
davanti alle creature che
con immagine svilente
le guide chiamano coloured fish
Ogni specie diversa
invece
e ognuna con un nome di leggenda
e con tinte inventate
da un bambino felice
Lente
sicure del loro paradiso
mi nuotavano intorno
in una primigenia innocenza
incolpevole certezza
della perfezione del mondo
Tu no
Tu sai bene la guerra
conosci gli anditi bui della fuga
e l’insidia dell’amo
e la rete
e il becco dello svasso che cala
improvviso e assassino
Conosci
il veleno che l’acqua corrompe
la melma maleodorante
che stringe la tua tana solare
Conosci
tu
la paura
l’incertezza di vivere
nell’intorbidamento di questo elemento vitale
nato per essere puro
Conosci il rischio
il dubbio
l’interminabile lentezza della morte
La mia esca
da un poco s’aggira nei pressi
il lombrico muove
nei suoi spasmi
la coda anguiforme
libera dal morso dell’uncino
Dalla barca
osservo lo strappo del galleggiante
e do con giusta forza la ferrata
senza sapere
s’è pietà o vittoria
Questa poesia di Paolo Santarone rievoca in me atmosfere, luoghi e immagini tipiche di un certo modo poetico giapponese dell'ultimo '900, dove - fra l'altro - il poeta riesce a essere sia personaggio che spettatore del proprio poema. Proprio questo, mi pare, accade intorno e dentro al Lago di Varese, del quale Paolo ci restituisce con innegabile maestria gli odori intensi e la flora e la fauna, delle cui vite, in un certo senso simbiotiche, egli stesso è testimone e parte essenziale. Un pescatore che indaga le minuscole vicende della vita lacustre come si indagano le acque profonde della propria anima. Dove l'abboccare all'amo di un piccolo pesce, ormai condannato da un'acqua assassina, può forse costituire un'eutanasia, un profondo atto di pietà.
RispondiEliminaA.C.
Poesia evocativa questa di Paolo Santarone, che (mi) riporta luoghi, vissuti ed avvenimenti come davanti ad un film.
RispondiEliminaSantarone riesce a trascinare, nel suo raccontare il lago e i suoi stretti dintorni, in una dimensione fatta di tipicità uniche ma che, attraverso la poesia, rientrano, inevitabilmente, nella sfera del sentire comune. Per me, lettore meridionale, leggere Paolo Santarone, significa camminare in quei suoi luoghi tanto distanti ma tanto presenti nell'anima. Grazie.
Grazie a Seba, che è un'altra delle persone da cui ho da imparare. L'altra, of course, è mastro Antonino
EliminaHo visto questo lago di sfuggita, di passaggio andando a Vergiate, cosi' come l'ho intravisto dal finestrino dell'aereo di ritorno da Lisbona, come lo si vede nelle mappe, chiuso e solo e piccolo fra i due laghi Maggiore e di Como. Non mi sono minimamente soffermata sulla possibilita' che contenesse una ricca fauna e tante avventure e sogni di ragazzi per cui rappresenta il fulcro dell'esistenza. Versi vividi, interessanti, una bella lettura che avrebbe anche potuto protrarsi piu' a lungo senza sforzi. Complimenti PaoloS. CZ
RispondiEliminaI pesci infantili che popolano ancora le abitudini emotive del poeta e non si curano del tempo.Remoti come ricordi ,nati per essere puri,per essere esche,nella lotta,nella fuga. E' la condizione dell'uomo quella ferrata senza sapere se è pietà o vittoria.
RispondiEliminaDavvero bella: una full immersion nell' incanto del tuo bel lago, guizzante di vita e colore. Specie quello dei tuoi ricordi , vive immagini felici di ragazzo, ma un amore sempre vivo ancora per ciò che in esso " vive e ciò che è morto". Un amore che si rivela anche nella tenerezza del tuo dialogare con quelle piccole creature lacustri che chiami per nome e rivesti di un "umanità" nuova e toccante, quasi fossero piccoli amici, così da non saper più (bellissima questa chiusa) " se è pietà o vittoria " il sentimento che prende l' animo all' abboccare del pesce all' amo. Una poesia piena di vita, di colore, di ricordi e di emozioni che non può non trascinarci tutti in questo tuo viaggio fin nelle profondità e nei segreti del tuo bel "Lago di Varese".
RispondiEliminaBuonasera, avrei una domanda da farle è questo è l'unico modo che ho trovato fin ora...è lei il Paolo Santarone che scrisse "la battaglia della resistenza" con Aristide Marchetti...nel caso sarei interessato a parlarle dato che sono stato informato che vi fù dedicato un breve passo alla figura di don Dante Colombo di Verghera (Samarate, VA)
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