domenica 20 maggio 2012

SEBASTIANO ADERNO' - QUATTRO POESIE TRATTE DA "IN LUOGO DEI PUNTI"






Nel 2010 vince il “Premio Ossi di Seppia” e si classifica terzo al Premio di poesia “Antonio Fogazzaro”. Dopo la sua opera prima Per gli anni a venire, Lietocolle (2011), ha pubblicato una raccolta dal titolo Kairos, Fara Editore (2011) e In luogo dei punti per Thauma edizioni (2012). Fa parte del collettivo ultranovecento, che realizza libri d’artista, con cui ha pubblicato una plaquette, Abissi non richiesti (2011), con un’opera di Marco Baj. È in uscita un romanzo, di cui è co-autore assieme al filosofo Leonardo Caffo, dal titolo Luci sulle lucciole per Edizioni Montag. 



IL LUOGO DOVE FUI IL LUOGO DOVE SARO’
(nel tempo che fui nel tempo che sarò) 

Questa raccolta di Sebastiano Adernò è una risposta forte e civile all’enorme quantità di dolore che ho visto nella mia esistenza, quale poeta ma, soprattutto, quale militare (ora ex) in zone di combattimento (anche da Adernò ricordate). Ormai è più che evidente che il problema “del male di vita” non lo si può risolvere a livello puramente intellettuale, perché sia l’irrazionale sia la carne vengono coinvolti, lanciando il loro grido, dimenandosi, creando forme, ulcerazioni, visioni, oppure impalpabili spettri (… le presenze peggiori). 
Infine è con tutto il proprio essere, in idea, in materia e in spirito, che avvertiamo l’ombra lunga che proietta  “la valle della morte”, acquisendo, in quella tenebra, verità fondamentali sulla nostra condizione umana. 
Scriveva Pascal: “Noi navighiamo in un vasto oceano, sempre incerti e instabili, sballottati da un capo all’altro dai flutti. Qualunque scoglio, a cui pensiamo di attaccarci e restare saldi, viene meno e ci lascia e, se l'inseguiamo, sguscia dalle nostre mani, ci scivola via e fugge in un’eterna erranza. Per noi nulla si ferma.” 
Quindi, e senza alcun dubbio, in questa vita si cresce, quasi unicamente, attraversando le avversità, e le sofferenze che esse procurano, piuttosto che tramite il successo, la vanità, l’illusione, la felicità, la gioia. 
Perciò è “nel perdere il vano sorriso” che si afferma il nostro essere e il nostro divenire, non tanto “nel vincere”, perché nulla c’è da vincere, se non, appunto, il Nulla. 
Infatti l’uomo che rincorre la fama in questa vita e, magari, la raggiunge, poi perderà tutto quando morirà, ma l’uomo che è già disposto a perdere fin dall’inizio e si pone sguarnito, semplice, conscio di tale condizione, diviene intoccabile anche di fronte alla morte, oltre che inarrestabile da chiunque altro, ed è allora che la sua pericolosità, qualora decida di agire in nome di un ideale, diventa a tal punto devastante che nessuno potrà sbarragli la strada, nessun proiettile lo ucciderà, nessuna parola di offesa lo scalfirà, e “il sorriso”, quello scaturito dalla consapevolezza di una condizione, carezzerà le sue labbra. 
L’apostolo Paolo più volte usò il termine greco astheneia per indicare come l’uomo, in corpo e in spirito, spesso si ritrovi in uno stato di fiacchezza, di debilitazione, quando le prove si fanno pressanti, ma astheneia significa anche precarietà, insufficienza, incapacità degli uomini di rapportarsi fra loro e di compiere il bene. 
Io sono certo che Sebastiano Adernò, partecipe laicamente di questa nostra mancanza costante (… soprattutto in questi tempi), abbia cercato, tramite il richiamarci a immagini cruente e a condizioni limite, di farci immergere nella nostra “zona oscura” al fine di attingere, proprio da quella, il coraggio e la fermezza per definirci vulnerabili, piccoli, polvere, muffa, ma pur sempre combattivi, pur sempre pronti a reagire, a porci presenti allorquando la necessità di scendere in campo ci chiama. 
L'incontro col terrore o, peggio, con l’orrore diventa, così, non solo un’esperienza di ordine individuale, ma comune, ‘junghianamente’ collettiva, planetaria, cosmica. 
Platone, Aristotele, Pitagora, Giordano Bruno, Spinoza, Leibniz e molti altri filosofi hanno spesso tirato in ballo le Monadi (dal greco monos, che significa uno, singolo, unico) per giustificare, teoricamente, anche le diversità fra individui, ma per tutti loro, sopra le stesse, esisteva un sola capacità ultrasensibile, totalmente altra, di trascendenza, riconducibile all’intero genere umano, che gli artisti definiscono, qualsiasi disciplina espressiva pratichino, poesia
Per il grande John Donne essa era la risposta per risolvere, dialetticamente, il proprio e l’altrui conflitto intellettuale e morale tra la difficoltà se non l’incapacità di relazione (la Babele) e il desiderio di reciproco slancio osmotico (l’Eden), essendo, la “sostanza” dell’esperienza esistenziale umana, infine la stessa in ogni individuo, seppure in tempi e spazi diversi. 
La poesia diviene così collante eterno che, abbattendo dimensioni spazio-temporali, ci unisce, ci lega, ai nostri contemporanei, ma anche a chi fu e a chi sarà, dimostrando-concretizzando tale comunione a seguito del come singole parole, oppure versi, o l’intero insieme lirico, colpiscano chiunque la cerchi e poi si trovi al suo cospetto, facendolo vibrare, facendolo pensare, facendolo emozionare e commuovere, per poi riportarlo al principio energetico, unico, che ci ha partorito. 
Reputo che la ricerca di un’azione comune e di un respiro condiviso sia, quindi, il volano del poetare di Adernò il quale, “in luogo di punti”, va a tracciare una linea (dialettica) ben netta fra ciò che è giusto e ciò che è ingiusto (operazione più che necessaria quando il Kaos diviene condizione dominante), ma tale linea poi diviene curva, e infine circolo (l’ a b c nella geometria euclidea come nella fisica quantistica) ritornando punto, se trasportata in ambito più vasto, e in tale cerchio-punto risiede il poeta, e lì sta, quando l’intero inizia a giragli attorno (vita, morte, guerra, carestia, vendetta, origine, fine, dolore, sangue, alienazione, bisogno, assenza totale dello stesso… cioè la vita nell’interezza e le tante vite di chi è venuto prima di lui, verrà dopo, ed è nel - suo - con/tempo). 
Lao Tzu, con saggezza mistica, diceva: “Senza muoversi si può conoscere il mondo, senza guardare fuori dalla finestra si può vedere la via del cielo. Più si va, meno si sa.” 
Anche senza essere andato, ecco come il poeta entra nell’umano, viaggia nell’altrui e, con l’altrui, percepisce, coglie, sente, immagazzina, diviene biblioteca e memoria, elabora, emette, in modo da poter dire anche se non ha vissuto ciò che invece, a un suo simile, ha ustionato la pelle. 
Ed ecco il perché uno come me ascolta Adernò, perché Adernò ha testimoniato egregiamente, e testimonia, senza essere stato presente, o essere presente (e lo ripeto), quello in cui io, invece, mi sono immerso e ricordo, in cicatrici, più che bene. 
Ogni uomo è lo stesso uomo seppure in tempi e spazi diversi… rammentiamo tale assioma quando ci avviciniamo alla poesia, quando decidiamo di ascoltare il poeta (… il vero poeta), perché egli non finge quando dice di essere stato colpito all’addome in Libia, sebbene mai sia stato in Africa, così come non mente quando afferma di avere partorito un figlio, sebbene egli non sia femmina, ma maschio. 
Il poeta è quell’uomo che raccoglie in sé tutti gli uomini (tutti i punti) e se ne fa carico (e dico questo senza alcuna retorica), è quell’uomo che ha stretto alleanza con loro, è quell’uomo che di loro si preoccupa, è quell’uomo che li vive e da loro si fa vivere, consapevole che “i confini dell’anima sono irraggiungibili, per quanto si trovino nelle più estreme profondità del singolo, come nelle più alte vette della moltitudine” (Eraclito), e Sebastiano Adernò sa bene questo, ma di ciò non si vanta, altro non fa che sottostare a un compito, e tracciare tangenze e diagonali. 
Perciò “in luogo dei punti”, un contatto. 

Gian Ruggero Manzoni 
[ Postfazione alla raccolta In luogo dei punti ]









Luglio nero del 1995



Luna grave, barbara voglia
vita magra
fino al collare di puttana.

La notte era avvezza
alle protuberanze di un rospo
che sbraitava con tutta la disfatta
stipata nel gozzo.

Mladić teneva accesa la paura del buio
così
suonò due volte la mezzanotte
e uscì lesercito
per andare ad incidere
di sette millimetri
la ghiandola colpevole
dell'altra razza.






Samir



Ha attraversato il diluvio.
Ripassato il gesto
da un polso allaltro.

Fuggire di notte. Tra le bombe.
Come compilare un errore
e portarselo per mare.

Cinque giorni
scandendo le parole:

perciò - figlio mio -
gioiello
sfuggi al macero,
non cadere nel tranello apparecchiato,
taci, prega
e scalza la faciloneria di ogni invito.

I trafficanti son golosi di ortica.

Tu mantieniti puro
meridiano,
collegamento al perfetto calendario,
di ciò che in te
- con una lacrima aggiunse -
ha predisposto il cielo.






Il sarto di Ulm



Stamane anche il sarto
è convinto che si possa volare.

Ma il padrone forte
daver imparato a dire noi
per evitare di essere sincero
lo licenza ridendo del candore
della sua obiezione.

Dietro i telai come bottoni trattenuti
alla provvidenza dei mansueti
                               gli altri osservano,
poi qualcuno
stanco di mimare la pace
sforbiciando in verticale
si libera dal grembiule le scapole
corre al megafono e lo senti urlare:

PER SCARDINARE
SERVONO GLI ZIGOMI SPORGENTI
DEL MILIZIANO
DUNQUE
SCIOGLIETE I CANI
AFFONDATE GLI INCISIVI
NELLA TRAVE
SEGATE I TIRANTI
DI QUESTO CIRCO TRONFIO
E SODDISFATTO
COME LORGOGLIOSA
IMPUNITÀ
DELLE SUE TROIE RISULTANTI.

E il ferro torna a vibrare.






Epigrafe



Io sarò,
e mi coglierai
non in gesti servili
e deludenti
tali da sembrare
altrimenti
robuste faccende
                           del corpo
ma nel macello,
appena sotto il filo di sangue
della mano col coltello
che incide,
scioglie la matassa dei nervi,
solleva la carne.









                  Le poesie qui presentate sono tratte da: 
                  IN LUOGO DEI PUNTI, Thauma Edizioni, 2012











7 commenti:

  1. Finora ho letto dei testi poetici di Sebastiano soltanto sulle "pagine" di vari blog. Ne ho ricavato comunque subito una impressione di forza espressiva e di potenza del verso che mi pare sia piuttosto raro incontrare nella poesia odierna. Le immagini che Sebastiano evoca o quelle che con immediata crudezza i soi versi, per così dire, ci sbattono in faccia, le domande implicitamente o duramente poste, sono un continuo "spiazzamento" per il lettore (anche a causa di quello che si chiama "errore di aspettazione", caratteristico di chi ama credere di potersi cullare e consolare sui ritmi, sulle cadenze, sulle "gentilezze" del verso poetico). Qui, invece, di ben altro si tratta. Per parafrasare Pasternak, si tratta della vita e della morte. E dell'una nell'altra, e dell'altra nell'una. Le poche poesie qui pubblicate non fanno altro che confermare la mia prima impressione, riempiendola di sempre maggiori certezze su un destino alto per la poesia di Sebastiano Adernò, che qui ringrazio per la sua cordiale disponibilità a essere graditissimo ospite di una "pagina" dedicata - a giusta ragione - a lui e alla sua poesia.

    Antonino Caponnetto

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    1. Grazie a te Antonino. E' sempre più raro chi riesce a prescindere da sé e sa difendere e nutrire quel margine dove può accadere di essere sorpresi dall'altrui umanità.

      Sebastiano

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  2. "Sfuggire al macero",noi,carta che riassume la storia di ogni tempo e la sua miserabile predisposizione al dolore,alla morte. Il poeta è un soldato al fronte con l'elmetto e il cuore pieni di buchi.Scalpita nella fossa comune delle esistenze e parla per voce di tutti.E' questo l'unico modo di vincere la guerra del silenzio e dell'omertà: l'alleanza delle parole colpisce a morte l'ignoranza e la paura.Diventa pianto che lava le coscienze,anello di congiunzione con la pietà e l'orgoglio.

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  3. Il sarto di Ulm" veamente , veramente notevole! conoscevo già un poco Seba e la sua bravura non mi sorprende, ma quel pezzo è titanico! Giancarlo Serafino

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    1. Grazie Giancarlo. Ho pensato che la visione di Lucio Magri sia ormai "inservibile" perché la frattura sociale è di gran lunga oltre quel momento che permette qualsiasi mediazione.

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  4. Sai Antonino, non ci sono due Adernò, l'uomo e il poeta, sono tutt'una cosa! A parlare con lui, di qualsiasi cosa, si costruisce sempre poesia. Adernò ha in sè la poesia forte, quella d'impegno, quella civile attraverso la quale dichiara, esprime, denuncia tutto ciò che ritiene disagevole per la dignità dell'essere umano. Sono tante le idee che girano in testa a questo poeta che trova sempre tempo (non so come faccia) per se e per gli altri.
    Grande Adernò, grande amico!

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