Georg
Heym (Hirschberg, Slesia, 1887 - Schwanenwerder, Berlino, 1912), scrittore tedesco, e soprattutto uno dei più
importanti poeti del primo espressionismo tedesco.
Figlio
di un avvocato, nacque nella Slesia, allora appartenente all’Impero Germanico,
da una famiglia conservatrice e religiosa. Dovette però allontanarsene per
poter seguire la propria vena lirica vitalistica; tutto ciò, in linea con la
migliore tradizione dell’espressionismo tedesco che vedeva la nuova generazione
rifiutare categoricamente la società codina, bigotta e eccessivamente
conservatrice dei primi del Novecento in Germania, forma sociale di cui i
propri genitori erano la tipica espressione. Ebbe una sorella, Gertrud che morì
giovane. Egli stesso morì a 25 anni, nel tentativo di salvare la vita all’amico
Ernst Balcke, che stava annegando durante una pattinata sul fiume Havel.
Nonostante
la sua breve vita, Heym può essere annoverato tra i migliori lirici di lingua
tedesca e senza dubbio, per la sua poesia potente e visionaria, considerato uno
dei massimi esponenti dell’espressionismo.
Intrapresi,
per volere del padre, gli studi di diritto, Heym non li portò mai a termine
perché totalmente incompatibili con le proprie più profonde aspirazioni, senso
di incompatibilità aggravato dell’atteggiamento autoritario del padre. Nel suo
diario leggiamo a questo proposito: “La mia natura è come imbrigliata in una
camicia di forza. Il mio cervello sembra scoppiare. [...] E dunque devo
riempirmi come una vecchia scrofa di queste porcherie giuridiche, è davvero da
vomitare. Preferirei sputare su questo pappone piuttosto che infilarmelo in
bocca. Sento invece la spinta a creare qualcosa; mi sento sano al punto di
voler combinare qualcosa. Si, è proprio una schifezza!”
Abbandonata
la casa paterna nell’inverno del 1909, Heym visse a Berlino, dove frequentò
assiduamente il Neuer Club, un cabaret fondato da Kurt Hiller proprio in quell’anno,
e questa fu la svolta decisiva per Heym, che potè entrare nel mondo letterario
e dedicarsi alla poesia. Al Neuer Club egli conobbe infatti molti letterati
suoi contemporanei, divenne amico di Jacob Van Hoddis e iniziò a scrivere
poesie. Una di esse, Berlin II,
pubblicata nella rivista Der Demokrat, fu notata dall’editore Rowohlt, che nel
1911 pubblicò la prima raccolta di poesie di Heym dal titolo Der ewige Tag (Il giorno eterno).
Nella
sua carriera poetica, interrotta precocemente dalla morte, Heym ci ha lasciato
circa 500 componimenti lirici, di cui una parte fu pubblicata postuma nel 1912
con il titolo di Umbra vitae. Nelle
sue poesie riscontriamo una grande originalità che sotto i tratti dominanti
dell’espressionismo, ci restituisce anche elementi più vicini al simbolismo e
al neoromanticismo, come ad esempio nella lirica Träumerei in hellblau (Fantasia
in azzurro).
Dell’espressionismo,
Heym, oltre a condividere aspetti come l’utopia umanitaria e la visione
apocalittica della realtà, incarnerà mirabilmente i due elementi
caratterizzanti: la polemica generazionale e la solitudine dell’uomo nella
megalopoli industriale, che lo opprime e lo snatura, facendolo affogare nel suo
mare di cemento. Quest’ultimo tema soprattutto anticiperà quegli elementi che
troveremo in film ispirati all’espressionismo tedesco, come Metropolis di Fritz Lang e in racconti e
romanzi del primo dopoguerra come Berlin
Alexanderplatz di Döblin, nel quale, come nelle opere di Heym, ritroviamo
la Berlino tentacolare (e più in generale, qualsiasi metropoli) dell’industrializzazione
e dell’urbanizzazione di massa.
Opere
In italiano
Heym, Georg, Umbra vitae,
prefazione e traduzione di Paolo Chiarini, Torino, Einaudi, 1970. ISBN
88-06-02868-5
Heym, Georg, E da
segrete scale, versione di Marco Zapparoli, Milano, Marcos y Marcos, 1981
Heym, Georg, Il ladro.
Novelle, introduzione di Paolo Chiarini, versione di Andrea Schanzer, Roma,
Edizioni dell’Ateneo, 1982
Heym, Georg, Canto delle
torri, versione di Marco Zapparoli, Milano, Marcos y Marcos, 1983
Heym, Georg, Racconti e
sogni, a cura di Fernanda Rosso Chioso, Napoli, Pironti, 1983
Heym, Georg, Ci
invitarono i cortili, a cura di Claudia Ciardi, Via del Vento edizioni,
dicembre 2011
In tedesco
Poesia
Der ewige Tag,
Rowohlt, Lipsia 1911
Der Kondor, 1912
edito da Kurt Hiller, contiene di Georg Heym: Berlin, Die Vorstadt, Träumerei in Helllblau, Der Blinde, Der Baum,
Nach der Schlacht, Louis Capet, Die Professoren, Das Fieberspital, Ophelia
Der Gott der Stadt
(1911)
Der Krieg (1911)
Die Stadt (1911)
Umbra vitae
(postumo), Rowohlt, Lipsia 1912 e con 47 incisioni in legno di Ernst Ludwig
Kirchner, Wolff, Monaco, 1924
Marathon Sonetti,
postumo, Berlino-Wilmersdorf, 1914
Prosa
Der Dieb. Ein
Novellenbuch, postumo, 1913, contiene: Der
fünfte Oktober, Der Irre, Die Sektion, Jonathan, Das Schiff, Ein Nachmittag,
Der Dieb.
Teatro
Der Feldzug nach
Sizilien (1907/1908, 1910)
Die Hochzeit des
Bartolomeo Ruggieri (1908, 1910)
Atlanta oder Die Angst
(1910/1911)
Arnold von Brescia
(1905-1908, incompiuto)
Prinz Louis Ferdinand
(1907, 1909, incompiuto)
Iugurtha (1908,
incompiuto)
Antonius von Athen
(1908, incompiuto)
Spartacus (1908,
incompiuto)
Lucius Sergius Catilina
(1908, incompiuto)
Der Sturm auf die
Bastille (1908, incompiuto)
Die Revolution
(1908, incompiuto)
Der Tod des Helden
(1908/1910, incompiuto)
Der Wahnsinn des
Herostrat (1910, incompiuto)
Ludwig XVI (1910,
incompiuto)
Grifone (1909-1911,
incompiuto)
Cenci (1911,
incompiuto)
In tedesco e in
italiano
Altri scritti
Versuch einer neuen
Religion (1909)
Chiarini, Paolo, Parole
nel vuoto: la lirica di Georg Heym tra Jugendstil ed Espressionismo, in:
Studi germanici, 11/3, ott. 1973, pp. 273–298
Dammann, Gunter, Georg
Heyms Gedicht “Der Krieg”: Handschriften und Dokumente, Untersuchungen zur
Entstehungsgeschichte und zur Rezeption, Heidelberg, Winter, 1978
Rolleke, Heinz, Stadt
bei Stadler, Heym und Trakl, Berlino, Erich Schmidt, 1988.
Berlin I
Der hohe Straßenrand, auf dem wir lagen,
War weiß von Staub. Wir sahen in der Enge
Unzählig: Menschenströme und Gedränge,
Und sahn die Weltstadt fern im Abend ragen.
Die vollen Kremser fuhren durch die Menge,
Papierne Fähnchen waren drangeschlagen.
Die Omnibusse, voll Verdeck und Wagen.
Automobile, Rauch und Huppenklänge.
Dem Riesensteinmeer zu. Doch westlich sahn
Wir an der langen Straße Baum an Baum,
Der blätterlosen Kronen Filigran.
Der Sonnenball hing groß am Himmelssaum.
Und rote Strahlen schoß des Abends Bahn.
Auf allen Köpfen lag des Lichtes Traum.
Berlino I
Seduti sopra l’erto e polveroso
Argine della strada, contempliamo
La calca innumerevole e confusa
E, nella sera, la città lontana.
Le vetture dei tram imbandierate
S’aprono colme un varco tra la folla.
Fendon gli omnibus carichi le strade.
Suonar di clackson, fumo ed automobili.
Verso l’immenso mare di cemento,
Ma ad ovest si disegna fusto a fusto
La filigrana delle chiome spoglie.
Il sole pende enorme all’orizzonte
Fiamme saetta l’arco della sera.
E il sogno della luce, alto, su tutto.
Die Ruhigen
Ernst Balcke gewidmet
Ein altes Boot, das in dem stillen Hafen
Am Nachmittag an seiner Kette wiegt.
Die Liebenden, die nach den Küssen schlafen.
Ein Stein, der tief im grünen Brunnen liegt.
Der Pythia Ruhen, das dem Schlummer gleicht
Der hohen Götter nach dem langen Mahl.
Die weisse Kerze, die den Toten bleicht.
Der Wolken Löwenhäupter um ein Tal.
Das Stein gewordene Lächeln eines Blöden.
Verstaubte Krüge, drin noch wohnt der Duft.
Zerbrochne Geigen in dem Kram der Böden.
Vor dem Gewittersturm die träge Luft.
Ein Segel, das vom Horizonte glänzt.
Der Duft der Heiden, der die Bienen führt.
Des Herbstes Gold, das Laub und Stamm bekränzt.
Der Dichter, der des Toren Bosheit spürt.
La quiete
A Ernst Balcke
La vecchia barca, che nel quieto porto
Il pomeriggio oscilla alla sua fune.
Gli amanti che ora, dopo i baci, dormono.
Una pietra che giace in fondo al pozzo.
Il letargo di Pizia, che assomiglia
Al sonno degli dèi dopo il banchetto.
Il bianco cero, che dipinge il morto.
Nubi come criniere su una valle.
Il sorriso impietrito di un demente.
Orci pieni di polvere, che esalano
Odor di vino. Nei solai, strumenti
Rotti. L’afa che annunzia il temporale.
Una vela che splende all’orizzonte.
Il profumo dei campi, che richiama
Le api. L’autunno sulle foglie e i tronchi.
Il poeta, e lo stolto che non l’ama.
Berlin VIII
Schornsteine stehn in großem Zwischenraum
Im Wintertag, und tragen seine Last,
Des schwarzen Himmels dunkelnden Palast.
Wie goldne Stufe brennt sein niedrer Saum.
Fern zwischen kahlen Bäumen, manchem Haus,
Zäunen und Schuppen, wo die Weltstadt ebbt,
Und auf vereisten Schienen mühsam schleppt
Ein langer Güterzug sich schwer hinaus.
Ein Armenkirchhof ragt, schwarz, Stein an Stein,
Die Toten schaun den roten Untergang
Aus ihrem Loch. Er schmeckt wie starker Wein.
Sie sitzen strickend an der Wand entlang,
Mützen aus Ruß dem nackten Schläfenbein,
Zur Marseillaise, dem alten Sturmgesang.
Auf einem Häuserblocke sitzt er breit.
Die Winde lagern schwarz um seine Stirn.
Er schaut voll Wut, wo fern in Einsamkeit
Die letzten Häuser in das Land verirrn.
Vom Abend glänzt der rote Bauch dem Baal,
Die großen Städte knien um ihn her.
Der Kirchenglocken ungeheure Zahl
Wogt auf zu ihm aus schwarzer Türme Meer.
Wie Korybanten-Tanz dröhnt die Musik
Der Millionen durch die Straßen laut.
Der Schlote Rauch, die Wolken der Fabrik
Ziehn auf zu ihm, wie Duft von Weihrauch blaut.
Das Wetter schwält in seinen Augenbrauen.
Der dunkle Abend wird in Nacht betäubt.
Die Stürme flattern, die wie Geier schauen
Von seinem Haupthaar, das im Zorne sträubt.
Er streckt ins Dunkel seine Fleischerfaust.
Er schüttelt sie. Ein Meer von Feuer jagt
Durch eine Straße. Und der Glutqualm braust
Und frißt sie auf, bis spät der Morgen tagt.
Il dio della città
Sopra un blocco di case sta seduto,
Gli cingono la fronte i venti neri,
E guarda irato ove laggiù, sperduti,
Si confondono gli ultimi quartieri.
Accende il rosso ventre, a Baal, la sera,
Danza di coribanti per le strade
Rimbomba il ritmo della folla. Denso
Di ciminiere e fabbriche a lui sale
Il fumo, come nuvola d’incenso.
Sulle sue sopracciglia il tempo abbuia.
Nella notte sprofonda ormai la sera.
Intorno alla sua chioma, irta di furia,
Come avvoltoio rotea la bufera.
Nel buio tende il pugno suo massiccio.
Lo scuote. Un mar di fuoco avvampa intorno
Per una via. Crepita il fumo arsiccio
E la divora, finché spunta il giorno.
Der ewige Tag, 1911
Träumerei in Hellblau
Alle [Landschaften] haben
Sich mit Blau gefüllt.
Alle Büsche und Bäume des Stromes,
Der weit in den Norden schwillt.
Blaue Länder der Wolken,
Weiße Segel dicht,
Die Gestade des Himmels in Fernen
Zergehen in Wind und Licht.
Wenn die Abende sinken
Und wir schlafen ein,
Gehen die Träume, die schönen,
Mit leichten Füßen herein.
Zymbeln lassen sie klingen
In den Händen licht.
Manche flüstern, und halten
Kerzen vor ihr Gesicht.
Fantasia in azzurro
Tutti i paesaggi ora sono
Ricolmi dell’azzurro,
Tutti gli arbusti e gli alberi sul fiume,
Che su a nord si fa gonfio.
Azzurri paesi di nuvole,
Fittissime vele argentate,
I lembi lontani del cielo
In luce si disfano e vento.
E quando le sere discendono
E noi ci addormentiamo,
I sogni, i dolci sogni
Entrano a pie’ leggero;
Nelle lucenti mani
Fanno suonare i sistri.
Sussurran certi, e tengono
Candele innanzi ai visi.
Umbra vitae, 1912
Der hohe Straßenrand, auf dem wir lagen,
War weiß von Staub. Wir sahen in der Enge
Unzählig: Menschenströme und Gedränge,
Und sahn die Weltstadt fern im Abend ragen.
Die vollen Kremser fuhren durch die Menge,
Papierne Fähnchen waren drangeschlagen.
Die Omnibusse, voll Verdeck und Wagen.
Automobile, Rauch und Huppenklänge.
Dem Riesensteinmeer zu. Doch westlich sahn
Wir an der langen Straße Baum an Baum,
Der blätterlosen Kronen Filigran.
Der Sonnenball hing groß am Himmelssaum.
Und rote Strahlen schoß des Abends Bahn.
Auf allen Köpfen lag des Lichtes Traum.
Berlino I
Seduti sopra l’erto e polveroso
Argine della strada, contempliamo
La calca innumerevole e confusa
E, nella sera, la città lontana.
Le vetture dei tram imbandierate
S’aprono colme un varco tra la folla.
Fendon gli omnibus carichi le strade.
Suonar di clackson, fumo ed automobili.
Verso l’immenso mare di cemento,
Ma ad ovest si disegna fusto a fusto
La filigrana delle chiome spoglie.
Il sole pende enorme all’orizzonte
Fiamme saetta l’arco della sera.
E il sogno della luce, alto, su tutto.
Die Ruhigen
Ernst Balcke gewidmet
Ein altes Boot, das in dem stillen Hafen
Am Nachmittag an seiner Kette wiegt.
Die Liebenden, die nach den Küssen schlafen.
Ein Stein, der tief im grünen Brunnen liegt.
Der Pythia Ruhen, das dem Schlummer gleicht
Der hohen Götter nach dem langen Mahl.
Die weisse Kerze, die den Toten bleicht.
Der Wolken Löwenhäupter um ein Tal.
Das Stein gewordene Lächeln eines Blöden.
Verstaubte Krüge, drin noch wohnt der Duft.
Zerbrochne Geigen in dem Kram der Böden.
Vor dem Gewittersturm die träge Luft.
Ein Segel, das vom Horizonte glänzt.
Der Duft der Heiden, der die Bienen führt.
Des Herbstes Gold, das Laub und Stamm bekränzt.
Der Dichter, der des Toren Bosheit spürt.
La quiete
A Ernst Balcke
La vecchia barca, che nel quieto porto
Il pomeriggio oscilla alla sua fune.
Gli amanti che ora, dopo i baci, dormono.
Una pietra che giace in fondo al pozzo.
Il letargo di Pizia, che assomiglia
Al sonno degli dèi dopo il banchetto.
Il bianco cero, che dipinge il morto.
Nubi come criniere su una valle.
Il sorriso impietrito di un demente.
Orci pieni di polvere, che esalano
Odor di vino. Nei solai, strumenti
Rotti. L’afa che annunzia il temporale.
Una vela che splende all’orizzonte.
Il profumo dei campi, che richiama
Le api. L’autunno sulle foglie e i tronchi.
Il poeta, e lo stolto che non l’ama.
Berlin VIII
Schornsteine stehn in großem Zwischenraum
Im Wintertag, und tragen seine Last,
Des schwarzen Himmels dunkelnden Palast.
Wie goldne Stufe brennt sein niedrer Saum.
Fern zwischen kahlen Bäumen, manchem Haus,
Zäunen und Schuppen, wo die Weltstadt ebbt,
Und auf vereisten Schienen mühsam schleppt
Ein langer Güterzug sich schwer hinaus.
Ein Armenkirchhof ragt, schwarz, Stein an Stein,
Die Toten schaun den roten Untergang
Aus ihrem Loch. Er schmeckt wie starker Wein.
Sie sitzen strickend an der Wand entlang,
Mützen aus Ruß dem nackten Schläfenbein,
Zur Marseillaise, dem alten Sturmgesang.
Berlino VIII
Le ciminiere stan sull’alto sfondo
Le ciminiere stan sull’alto sfondo
Della luce invernale, ne portano il gran peso:
Fosca reggia d’un cielo che s’abbuia.
Ma l’orlo suo, giù, brucia – soglia d’oro.
Lontano tra spogliati alberi, case
Lontano tra spogliati alberi, case
E steccati e depositi, là, dove la metropoli s’appiana,
Su rotaie di ghiaccio avanza a stento
Un treno merci e lento poi scompare.
E di poveri spunta un cimitero, pietra su pietra, nero,
E di poveri spunta un cimitero, pietra su pietra, nero,
Scrutano i morti da quel loro buco
La fiammeggiante sera. Di vino forte ha il gusto.
Le spalle al muro, siedono tessendo,
Le spalle al muro, siedono tessendo,
Berretti di fuliggine sopra le tempie ossute,
La Marsigliese cantano, l’antico inno di lotta.
Der Gott der Stadt
Auf einem Häuserblocke sitzt er breit.
Die Winde lagern schwarz um seine Stirn.
Er schaut voll Wut, wo fern in Einsamkeit
Die letzten Häuser in das Land verirrn.
Vom Abend glänzt der rote Bauch dem Baal,
Die großen Städte knien um ihn her.
Der Kirchenglocken ungeheure Zahl
Wogt auf zu ihm aus schwarzer Türme Meer.
Wie Korybanten-Tanz dröhnt die Musik
Der Millionen durch die Straßen laut.
Der Schlote Rauch, die Wolken der Fabrik
Ziehn auf zu ihm, wie Duft von Weihrauch blaut.
Das Wetter schwält in seinen Augenbrauen.
Der dunkle Abend wird in Nacht betäubt.
Die Stürme flattern, die wie Geier schauen
Von seinem Haupthaar, das im Zorne sträubt.
Er streckt ins Dunkel seine Fleischerfaust.
Er schüttelt sie. Ein Meer von Feuer jagt
Durch eine Straße. Und der Glutqualm braust
Und frißt sie auf, bis spät der Morgen tagt.
Il dio della città
Sopra un blocco di case sta seduto,
Gli cingono la fronte i venti neri,
E guarda irato ove laggiù, sperduti,
Si confondono gli ultimi quartieri.
Accende il rosso ventre, a Baal, la sera,
E le grandi città stanno in ginocchio
A lui d’intorno. Innumeri rintocchi
Salgon dalla marea di torri nera.
A lui d’intorno. Innumeri rintocchi
Salgon dalla marea di torri nera.
Danza di coribanti per le strade
Rimbomba il ritmo della folla. Denso
Di ciminiere e fabbriche a lui sale
Il fumo, come nuvola d’incenso.
Sulle sue sopracciglia il tempo abbuia.
Nella notte sprofonda ormai la sera.
Intorno alla sua chioma, irta di furia,
Come avvoltoio rotea la bufera.
Nel buio tende il pugno suo massiccio.
Lo scuote. Un mar di fuoco avvampa intorno
Per una via. Crepita il fumo arsiccio
E la divora, finché spunta il giorno.
Der ewige Tag, 1911
Träumerei in Hellblau
Alle [Landschaften] haben
Sich mit Blau gefüllt.
Alle Büsche und Bäume des Stromes,
Der weit in den Norden schwillt.
Blaue Länder der Wolken,
Weiße Segel dicht,
Die Gestade des Himmels in Fernen
Zergehen in Wind und Licht.
Wenn die Abende sinken
Und wir schlafen ein,
Gehen die Träume, die schönen,
Mit leichten Füßen herein.
Zymbeln lassen sie klingen
In den Händen licht.
Manche flüstern, und halten
Kerzen vor ihr Gesicht.
Fantasia in azzurro
Tutti i paesaggi ora sono
Ricolmi dell’azzurro,
Tutti gli arbusti e gli alberi sul fiume,
Che su a nord si fa gonfio.
Azzurri paesi di nuvole,
Fittissime vele argentate,
I lembi lontani del cielo
In luce si disfano e vento.
E quando le sere discendono
E noi ci addormentiamo,
I sogni, i dolci sogni
Entrano a pie’ leggero;
Nelle lucenti mani
Fanno suonare i sistri.
Sussurran certi, e tengono
Candele innanzi ai visi.
Umbra vitae, 1912
Avvertenza:
Tutti e cinque i
testi qui proposti in lingua originale sono tratti da: POESIA EUROPEA DEL NOVECENTO, 1900_1945, SKIRA Editore, Milano,
1996. Dal medesimo libro sono tratte le traduzioni - curate da Paolo Chiarini -
che in italiano recano i seguenti titoli: “Berlino I”, “La quiete” e “Il dio
della città”. Per ciò che riguarda
la poesie dai titoli “Berlino VIII” e “Fantasia in azzurro” ho voluto assumermi
personalmente la responsabilità di darne qui due traduzioni mie.
Antonino Caponnetto
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<< Georg Heym costruisce nei suoi versi un’allegoria del vivere, fiume e nave allo stesso tempo, le cui sponde poggiano sui lembi disadorni del proprio immaginario, (in cui) il fanciullesco si contamina con una sorta di attesa estatica, quale suscita la sconvolgente visione di un dio, la stessa che arse Semele, la madre di Dioniso, quando contemplò il volto del suo amante divino, Zeus. È in questa tensione divorante che il verso heymiano cerca di sorprendere l’essere (Dasein), nell’attimo del suo dissolvimento.
RispondiEliminaCome scrive Claudia Ciardi, curatrice del volumetto e autrice del commento alla poetica di Heym: «Devoto ai colori crepuscolari, la sua figura appartiene a questa soglia cromatica, dove tutto è soggetto a un silenzioso trapasso.»
Il dio della città, per Heym, fragile Giacinto rapito dalle acque dell’Havel, sta in questo indefinito limbo che si gioca tra sogno e ricordo, ed è questo intenso grido che taglia l’aria, facendo risuonare una libera volontà sensibile, mentre l’ombra gettata da una fonte nel silenzio di un cortile ammicca alla struggente fantasticheria della sera >>.
(Tratto dall’articolo “Ci invitarono i cortili – Georg Heym” del 7/3/12 apparso online, a cura della redazione di SoloLibri.net < http://www.sololibri.net/Ci-invitarono-i-cortili-Georg-Heym.html >)
Interessante lettura di un Autore che non conoscevo, grazie!
RispondiEliminae complimenti anche per il blog. Un caro saluto
Angela Greco